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:: DOSSIER BOLIVIA ::

Cosa è rimasto dopo una settimana di rivolta popolare? E' cambiato il governo. Ma è anche cambiato il modo di guardare alla Bolivia?
E, soprattutto, la Bolivia esiste o no?

La guerra è finita.
E la Bolivia?

Di Giovanna Vitrano





SOMMARIO


La guerra è finita. E la Bolivia?

Esistenza negata

Giochi presidenziali

L'oggetto del desiderio

Tutti per uno

La trappola di Zio Sam

Le armi e la questione "sicurezza"

Ollanta Humala

Gli studi della APDHB e i "difensori" del popolo


Siamo tutti "Alteños"
Bolivia: cacciato il Presidente,
inizia una nuova epoca

L'analisi, con gli occhi e il cuore di un intellettuale boliviano, del grande cambiamento che non può dimenticare il dolore di un popolo ferito
da La Paz Jorge Viaña (en español)


I discorsi del Presidente Mesa
Il discorso alla Nazione 17 ottobre 2003
Il discorso alle Forze Armate 19 ottobre 2003

Bolivia - 27/10/2003

E' lucida l'analisi fatta da Eduardo Galeano sulle motivazioni storiche che hanno portato la Bolivia a quella che passerà alla storia con il falso nome di "Guerra del gas". Lucida e volutamente esasperata, enfatizzata. Nella migliore tradizione dell'espressione latinoamericana.
Ma c'è una domanda che non ci da tregua, una domanda sorta proprio dopo la lettura dell'intervento dello scrittore. Ma la Bolivia esiste davvero?
A ben guardare quello che sta succedendo in queste ore nella regione sudamericana a cavallo delle Ande, dare una risposta a questa domanda "assurda" non è facile come ci si aspetta.
Perché in queste ore, per semplificare, la Bolivia non esiste, il popolo boliviano ancora meno.



Esistenza negata
Viene chiamata il "cuore" dell'America Latina, la terra "mediterranea", ovvero quella nazione chiusa tra le terre, essendole proibito ogni sbocco al mare.
Affermazioni esatte. Per altri motivi.
La Bolivia è il cuore dell'America Latina, il centro pulsante. Per l'economia di un intero subcontinente, per le sue miniere storicamente parlando, per il suo gas oggi. Ed è terra mediterranea, come lo furono le terre che, bagnate dal mare Mediterraneo e benedette dal suo clima, furono al centro di invasioni e guerre colonialistiche.
Ecco la Bolivia, oggetto del desiderio di grandi potenze, bisognose di energia -meglio se a buon mercato - oggi più che mai, vista l'instabilità degli scenari orientali.
Ecco la Bolivia, abitata da otto milioni di persone che non fanno un popolo, spezzettati come sono in Aymara, Quechua e Meticci, solo per citare le razze più numerose. I Bianchi, come tutti i presidenti che hanno governato la Bolivia, sono la minoranza, circa il 10% dell'intera popolazione.
Parlano lingue diverse, e spesso non si capiscono neppure tra di loro. La lingua ufficiale, secondo i libri, è lo spagnolo. Sappiamo che non è così. Negli ultimi due anni, poi, la lingua unica, per la Bolivia ma anche per tutto il subcontinente, è diventato l'inglese. Come suggerisce Galeano, l'inglese di George W. Bush
Non abbiamo una sfera di cristallo per capire, oggi, se la Bolivia riuscirà a conquistare una sua esistenza o se questa, ancora una volta, le sarà negata.
Quello che possiamo fare, quello che facciamo, è mettere in fila i fatti.
A cominciare dalla nuova presidenza dell'indipendente Carlos Mesa Gisbert.


27 ottobre. Il presidente Carlos Mesa, si è riunito con il sottosegretario aggiunto per gli Affari dell'Emisfero Occidentale degli Stati Uniti, Peter de Shozo accompagnato dall'ambasciatore Greenlee.

Giochi presidenziali
:: Dossier BOLIVIA ::
Il Governo di Mesa
Mediante el D.S. 27215, Carlos Mesa nombró a los siguientes ciudadanos como ministros
Ministro de Relaciones Exteriores y Culto: Juan Ignacio Siles del Valle
Ministro de la Presidencia: José Antonio Galindo N.
Ministro de Gobierno: Alfonso Ferrufino Valderrama
Ministro de Defensa Nacional: Gral. Gonzalo Arredondo Millán
Ministro de Hacienda: Javier Gonzalo Cuevas Argote
Ministro de Desarrollo Sostenible: Jorge Cortçes Rodríguez
Ministro de Desarrollo Económico: Javier Nogales Iturri
Ministro de Servicios y Obras Públicas: Jorge Urquidi Barrau
Ministro de Minería e Hidrocarburos: Alvaro Ríos Roca
Ministro de Educación: Donato Ayma Rojas
Ministro de Salud y Deportes: Fernado Antezana Arançibar
Ministro de Trabajo: Luis Fernández Fagalde
Ministro de Asuntos Campesinos y Agropecuarios: Diego Montenegro Ernst
Ministro sin Cartera Responsable de Participación Popular: Roberto Barberí Anaya
Ministro sin Cartera Responsable de Asuntos Indígenas y Pueblos Originarios: Justo Seoane Parapaino
Delegado Presidencial Anticorrupción: Guadalupe Cajías de la Vega

Y dos ministerios sin cartera, el de Paticipación Popular y el de Asuntos Indígenas y Pueblos Originarios-, y un Delegado Presidencial Anticorrupción.
Non ha l'appoggio di uno schieramento politico all'interno del suo governo, perché il suo è un governo di tecnici. Può contare, dunque, solo sull'appoggio della società civile. Questo sembra essere lo scenario che vede Carlos Mesa protagonista, attore principale della sceneggiatura che si sta scrivendo in queste ore nel paese della "hoja sacrada" e della Wipala, la bandiera degli indios.
Certo è che il sostegno della società civile sembra non essere molto sicuro, sia per l'instabilità sociale insita nel paese, sia per gli avvertimenti che non sono stati fatti mancare al nuovo presidente. La Cob (la central obrera boliviana, la maggiore federazione sindacale che riunisce, oltre agli ex minatori, anche tutti gli indios) e Felipe Quispe, leader del MIP e soprattutto dei campesinos, gli hanno dato novanta giorni di tempo per assolvere almeno a sette richieste del "popolo boliviano": abrogare la Legge sugli Idrocarburi, nazionalizzare la YPFB (Yacimentos Petrolíferos Fiscales Bolivianos, l'industria petrolifera), impedire la vendita del gas crudo, abrogare la Legge di Sicurezza Cittadina, accordare l'autonomia alla Universidad Pública di El Alto, annullare il Codice Tributario e il Decreto Supremo 21060, quello che permetteva alle multinazionali di prendere il gas a loro piacimento.
Anche il Mas di Evo Morales, principale leader dell'opposizione nel governo di Goni Sanchez e leader della federazione sindacale dei cocaleros, ha fatto sentire il suo fiato sul collo del nuovo presidente. "Ti seguiamo passo passo", sembra aver detto un senatore del Mas al nuovo mandatario.
E Carlos Mesa? Da bravo ex giornalista, sembra saper tenere molto bene un piede in due scarpe. E lo dimostra con i suoi primi discorsi, quello tenuto davanti al Congresso Nazionale e quello a uso e consumo delle Forze Armate.
"Nessuno può ignorare che l'unità della Bolivia è a rischio" ha dichiarato nel suo discorso di investitura, confermando che "la domanda della società boliviana di un referendum vincolante (sul gas, ndr) ha come risposta del presidente quella di un referendum vincolante al più presto". Si è impegnato per modificare la Legge sugli Idrocarburi ed ha esortato il suo Paese a lavorare a delle proposte, anche se sono come "la proposta del dipartimento di Santa Cruz, una proposta per una nuova idea, quella di rifondare la Bolivia"
Ha esortato tutti a "compiere uno sforzo, mettendo da parte le posizioni personali, perché la discussione sulle domande fatte oggi, domani e dopodomani non sia minata da pressioni". Ed ha chiarito che "lo Stato oggi non può dare una risposta efficiente ed effettiva a tutte le domande legittime poste dal popolo". Immancabili i passaggi con la promessa di una lotta senza quartiere alla corruzione e con le richieste di aiuti internazionali per salvare la Bolivia.
Qualche ora dopo, davanti alle più alte cariche delle Forze Armate, si infiammava spiegando che "per tutta una serie di circostanze che stiamo pagando da anni - per non dire da secoli - la società boliviana, il movimento popolare, i settori esclusi e discriminati del nostro Paese sono cresciuti, non soltanto per qualità e per intensità, ma anche nelle attitudini di movimenti che hanno causato i conflitti sociali. (...) Non posso che dirmi profondamente preoccupato perché i movimenti sociali hanno subito le violenze nell'intento di trovar risposte alle loro domande. Ma è giusto accettare il fatto che è arrivato il momento in cui il livello di violenze esercitato dagli stessi movimenti ha superato il limite del tradizionale controllo dell'ordine, mantenuto dalle forze di polizia, rendendo indispensabile la convocazione di membri delle Forze Armate per recuperare il controllo (...)".
Quindi, forse, l'idea di movimenti estremisti giunti a buttar benzina sul fuoco, cosa denunciata da Gonzalo Sanchez de Lozada anche durante la sua prima conferenza stampa dal suo esilio a Miami, non è cosa da sottovalutare. Ma su questo torneremo in seguito.


24 ottobre. Il ministro del governo Ferrufino, durante la sua prima visita al quartier militare di Umopar-Chimoré, in compagnia dell'ambasciatore statunitense Greenlee.


L'oggetto del desiderio
Il vero problema della Bolivia sta nella sua ricchezza. Di risorse naturali, s'intende. Prima fra tutte, il gas.
Con l'accordo firmato tra Goni Sanchez e la multinazionale Pacific Lng, incaricata dell'estrazione, per ogni dollaro guadagnato dallo stato boliviano, ben 24 dollari sarebbero stati intascati dalla petrolifera. Un bell'affare davvero per la multinazionale.
Questo accordo è saltato, Goni ha dovuto annullarlo prima di dare le dimissioni. Sul porto da utilizzare per l'esportazione del gas, invece, i giochi sono ancora aperti. Persino il nuovo ministro degli Idrocarburi, Alvaro Ríos Roca, ha affermato che i criteri di scelta per il porto devono essere innanzi tutto economici, dichiarando, comunque, che avrebbe rispettato la linea del suo presidente Mesa. "Il gas deve essere esportato - ha detto Rios Roca - perché non serve a niente sotto terra, non possiamo farne una ricchezza lasciandolo là sotto, e quello che chiedo è partiamo con l'esportazione e quando avremo i primi guadagni potremo trattare affinché in futuro questa possibilità venga utilizzata in forma onesta e trasparente all'interno di un progetto sostenibile per fare in modo che il popolo boliviano benefici di questa sua ricca risorsa".
Cosa è più conveniente, quindi, utilizzare il porto di Ilo, in Perù, o quello di Merillones, in Cile?
Il governo di Jorge Quiroga, prima di Goni Sanchez, aveva chiesto degli studi al riguardo. La multinazionale si è affidata alla Bechtel e alla Global Energy (sorelle siamesi, entrambe implicate nella guerra dell'acqua del 2000, oggi incaricate dagli Stati Uniti di "rimettere a posto" la situazione idrica in Irak, ndr), mentre le autorità marittime hanno chiesto a tecnici olandesi di dare il loro responso. Di quest'ultimo non si ha notizia, ma secondo i primi due la scelta cilena costerebbe ben 700 milioni di dollari in meno rispetto a quella peruviana. Dissentono i "fratelli" peruviani, secondo i quali i costi sarebbero maggiorati di soli 309 milioni di dollari, un costo che il Perù è disposto ad affrontare in prima persona pur di agevolare il mercato degli "hermanos" di Bolivia.


:: Dossier BOLIVIA ::
Dichiarazioni congiunte Bolivia-Perù
DECLARACIÓN CONJUNTA DE LOS MINISTROS DE RELACIONES EXTERIORES DE LA REPÚBLICA DE BOLIVIA Y DE LA REPÚBLICA DEL PERÚ
1. Expresan su resolución de continuar profundizando la integración binacional con miras a construir un espacio integrado política, económica y culturalmente entre ambos países con una orientación de modernidad que contribuya al proceso de integración de la Comunidad Andina y a la conformación de una Comunidad Sudamericana de Naciones.
2. Anunciaron, en ese sentido, el inicio de un proceso de negociaciones para celebrar, en un plazo no mayor a un año, un Tratado General de Integración y Mercado Común entre Perú y Bolivia, conforme al Cronograma anexo a la presente Declaración.
3. Coincidieron en que dicho Tratado debe encaminarse, entre otros, a los siguientes objetivos:
* Desarrollar la integración profunda entre el Perú y Bolivia, como un aporte al proceso de integración de la Comunidad Andina;
* Promover el desarrollo económico y social entre ambos países;
* Incrementar los flujos comerciales, turísticos y de inversión bilaterales, y entre sus países y la región;
El Canciller del Perú presentó asimismo el anteproyecto de "Convenio para el establecimiento de una Zona Turística de Playa Boliviamar en Ilo" y su Reglamento, destinados a favorecer la implementación y desarrollo de obras de infraestructura y actividades de servicios turísticos en la zona de Playa Boliviamar, concedida a Bolivia por el Gobierno del Perú en 1992, reconociendo el derecho de propiedad de las personas naturales y/o jurídicas inversionistas que decidan operar en dicha Zona Turística.
10. Los Cancilleres resaltaron la importancia de generar un polo de desarrollo en el altiplano boliviano-peruano a partir de una alianza estratégica en el campo energético y el establecimiento de un eje de integración y desarrollo acorde con la Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Sudamericana (IIRSA), con la que ambos Gobiernos se encuentran comprometidos.
11.
Los Cancilleres resaltaron la importancia de otorgar prioritaria atención al desarrollo de la Zona de Integración Fronteriza (ZIF) Peruano-Boliviana, establecida de conformidad con la Decisión 501 de la Comunidad Andina, a través de la ejecución de planes, programas y proyectos binacionales en beneficio directo de sus poblaciones. En ese sentido, coincidieron en la necesidad de articular los esfuerzos desarrollados hasta ahora por ambos países en el marco de la Autoridad Binacional del Lago Titicaca y del Programa de Acción Integrado Perú-Bolivia (PAIPB) a fin de identificar aquellos proyectos a ejecutar en las áreas de intervención prioritaria altoandina y amazónica de la ZIF.
Hecha en Lima, República del Perú, a los 27 días del mes de agosto del año dos mil tres.

ALLAN WAGNER TIZON
Ministro de Relaciones Exteriores del Perú

CARLOS SAAVEDRA BRUNO
Ministro de Relaciones Exteriores y Culto de Bolivia

Tutti per uno
Tutti, adesso, vogliono aiutare la Bolivia in questa che sembra essere la sua ultima chance.
Perché mentre il Cile tace, sicuro dell'appoggio incondizionato degli Stati Uniti, il Perù si lancia in una serie di proposte davvero ragguardevoli. Peccato, però, che adesso sembra essersi dimenticato degli Accordi di Ilo, firmati il 24 gennaio 1992 dal presidente peruviano Alberto Fujimori e dal suo collega boliviano Victor Paz Estenssoro, accordi che concedevano oltre 300 ettari di terreno costiero peruviano alla nazione boliviana. Anzi, citando testualmente, gli accordi prevedevano "una serie di facilitazioni e il libero transito commerciale da Desaguadero, nel confine dell'altipiano boliviano, fino a Ilo, nella costa atlantica".
Questi accordi, poi, si sono leggermente modificati. Per essere precisi, sono stati cambiati a Lima il 27 agosto del 2003 e ufficializzati con la Dichiarazione Congiunta dei ministri delle Relazioni esterne della repubblica di Bolivia e della repubblica di Perù, firmata dal peruviano Allan Wagner Tizon e Carlo Saavedra Bruno, galoppino di Sanchez de Lozada. In questa dichiarazione si legge che viene favorita "l'implementazione e lo sviluppo di opere per infrastrutture e attività per servizi turistici nella zona di Playa Boliviamar, concessa alla Bolivia dal Perù nel 1992, riconoscendo il diritto di proprietà a persone fisiche e/o giuridiche che decidano di operare nella detta Zona Turistica". Quindi non si sta parlando più di quella zona industriale oggetto della Decisione 501 della Comunità Andina, documento con cui la nascita di "quella" Zona de Integracion Fronteriza diventava esempio per molti altri accordi bilaterali tra i paesi andini?
E ancora, se una zona industriale può trasformarsi rapidamente in zona turistica, cosa vieta il passaggio al contrario? Soprattutto quando, poi, si viene a scoprire che il Perù, così solidale con la Bolivia, è in effetti un suo diretto concorrente visto che il Perù Lng ha già firmato un contratto con l'impresa Tractebel per l'esportazione del suo gas da Camisea al Messico. Accaparrandosi anche quello boliviano, il Perù avrebbe praticamente il monopolio per quanto riguarda l'esportazione del gas.
Ecco che, però, spunta un altro contendente. Il presidente dell'Uruguay Jorge Battle ha ufficializzato la sua offerta al governo boliviano di un territorio da utilizzare per trasportare il gas fino al porto di Nueva Palmira, a 180 chilometri da Montevideo e capolinea dei fiumi Parana e Paraguay.

La trappola di Zio Sam
Ma che c'entrano gli Stati Uniti, adesso? Quelli c'entrano, purtroppo. Perché dove c'è un paese povero, sconquassato dalle rivolte sociali, ma ricco di risorse energetiche, lì, proprio lì, c'è lo zio Sam. Con il suo vestito da avvoltoio pronto a banchettare.
Ricordiamo che gli stati Uniti e l'Organizzazione degli Stati americani avevano più volte manifestato pubblicamente tutto il loro appoggio a Gonzalo Sanchez de Lozada. E ricordano che l'ambasciatore statunitense David Greenlee si è intrattenuto per ben tre ore con un Carlos Mesa che ancora giurava e spergiurava che mai sarebbe stato il nuovo presidente di Bolivia.
Ora gli Stati Uniti hanno riconosciuto una sorta di patto di non belligeranza con il nuovo governo (allora perché i sei alti ufficiali militari mandati da Pentagono all'ambasciata di La Paz non sono ancora rimpatriati?), anche se da più parti fanno sentire campane che suonano a morto. Donna Lee van Cott, un'esperta di politica latinoamericana dell'Università del Tennessee, ha detto che il nuovo presidente dovrebbe rivedere il suo status di indipendente, anche se questo non renderebbe affatto più semplice il suo compito. "Mesa è un outsider che può contare solo sull'appoggio di gruppi disgiunti (...) gli sarà molto difficile governare in congresso. Troverà molte difficoltà per rispondere alle richieste degli indigeni. Sono stati privati di tutto da troppo tempo, adesso potrebbe essere troppo difficile negoziare con loro...", ha detto l'esperta.
Il fatto che gli indios "siano stati privati di tutto da troppo tempo", a sentire la docente, sembra non aver niente a che fare con Washington. Eppure, dov'era Washington lo scorso febbraio, quando i dettami del Fmi -longa mano di zio Sam- imponeva un taglio del 12,5% sui salari degli statali, provocando il massacro di plaza Murillo?
Secondo Miguel Diaz, direttore del progetto Mercosur del Csis, Centro di Studi Internazionali e Strategie, "verbalmente è stato garantito l'appoggio sperato, ma il tempo per aiutare la Bolivia è finito. E' finito a febbraio quando la comunità internazionale avrebbe potuto dare del denaro per stabilizzare il governo ma non lo ha fatto".

In quei giorni Carlos Saavedra Bruno aveva avuto promesso da Bush 50 milioni di dollari, portando la somma chiesta dal governo di Goni Sanchez a un totale di 150 milioni; in tutto però la Bolivia ne ha avuti solo 10, un giochino che gli Usa amano fare da un paio di anni in qua.
E lo scorso aprile persino quell'uccellaccio del malaugurio di Jeffrey Sachs (ogni suo intervento nelle economie dei paesi che gli hanno chiesto aiuto ha provocato disastri. Vedi la Bolivia del '93, la Polonia, la Russia di Elstin e il Giappone del crollo economico, ndr) aveva avvertito gli Stati Uniti. Ma "l'amministrazione non ha capito ne visto il disastro che sta aiutando a creare", ha dichiarato sul Financial Times di sei mesi fa.
Per Eileen Rosin, analista del Washington Office - Latin America (WOLA) è chiaro che la Bolivia è un esempio di come la politica di Bush contro il narcotraffico è controproducente. "Non ha lasciato a Sanchez de Lozada alcun margine per negoziare. Con la sua politica di tolleranza zero per i coltivatori di coca e con il sistema di erradicazioni che non lascia ai contadini alcuna scelta, gli Stati Uniti hanno legato le mani al presidente boliviano", ha dichiarato la Rosin.
Il sociologo e politicologo Álvaro García dell'Università Maggiore di San Andres ha fatto notare come "gli Stati Uniti non hanno perso un alleato (Goni Sanchez, ndr), ma un emblema, la persona più rappresentativa di quello che furono le riforme volute dal consenso di Washington per la Bolivia. Sanchez de Lozada, educato negli Stati Uniti, fu quello che privatizzò tutto. Non è che ora ci sia un governo nemico in questo paese, però gli Usa stanno pensando a una transizione per un periodo post consenso di Washington".

Le armi
Il nuovo ministro del Governo boliviano, Alfonso Ferrufino, ha ordinato un'inchiesta sulla sparizione di informazioni secretate del suo ministero.
Ha denunciato che collaboratori del suo predecessore Yerko Kukoc (anch'egli esiliato a Miami, ndr) hanno cancellato e sottratto informazioni dai computer del ministero, informazioni relative ai conflitti sociali che hanno causato la rivolta di ottobre, e, soprattutto, sugli ultimi acquisti di equipaggiamenti antisommossa. A questa scoperta il ministro è giunto leggendo che negli ultimi otto mesi della gestione Kukoc si sono utilizzati 13,3 milioni di dollari -sui 20 disponibili- per "acquisti riservati" che, molto probabilmente, sono stati destinati al rifornimento di armi per la repressione ordinata a forze armate e polizia.

Questione di "sicurezza"
Adolfo Franco, direttore aggiunto dell'Agenzia per lo sviluppo internazionale (l'Usaid, ndr), nel corso di una riunione sulla politica per la regione andina, ha fatto una cruda descrizione della situazione in America Latina e ha detto che la instabilità nella regione è una minaccia per la sicurezza nazionale e per l'economia degli Stati Uniti.
Più morbido nell'espressione il capo della diplomazia statunitense per l'America Latina, Roger Noriega, che si è limitato a far notare come per il governo Bush i paesi del subcontinente hanno "una importanza cruciale" per la sicurezza e il benessere del paese. Ha anche aggiunto, però, che l'amministrazione Bush "insegue l'obiettivo di costruire una comunità emisferica unita dal valore comune della libertà, fortificata dalla legge e ricca grazie al libero commercio".
Il democratico Robert Menéndez ha invece sottolineato che i recenti fatti in Bolivia "mettono in evidenza la debolezza" della politica di Bush e, per sostenere la sua tesi, ha messo in fila la crisi in Argentina e la situazione instabile di Venezuela e Haiti. Quella di Bush, dice sempre Menéndez, è "una politica incoerente, soprattutto per quella gente che è stata sempre ignorata". Altre dure critiche alla politica di George W. Arrivano dall'ex funzionario dell'amministrazione Carter, docente presso l'American University, Robert Pastor: "La scorsa settimana una folla è riuscita a mandar via un presidente progressista boliviano (...) mentre i vicini sembrano essere sul bordo del caos", ha detto riferendosi a Perù, Ecuador, Colombia e Venezuela. "L'economia del Brasile -ha continuato Pastor - che è il motore di tutta l'America del Sud, procede con difficoltà, e il suo paese vicino, l'Argentina, continua a non pagare i suoi debiti".
Insomma, c'è tutto un subcontinente che ancora non si regge sulle proprie gambe, e le cui instabilità mettono a repentaglio la sicurezza interna degli Stati Uniti.
Probabilmente i cori dei boliviani, che hanno tirato fuori un ritornello che non si ascoltava da trent'anni almeno, "El pueblo unido, jamás será vencido", hanno spaventato gli alti vertici in quel di Washington.
Forse, però, c'è anche altro.


:: Dossier BOLIVIA ::
:: CRONOLOGIA della CRISI ::


:: (17/10/2003) E’ tempo di “democratura”?
Si è dimesso il presidente boliviano Gonzalo Sanchez de Lozada.
L'ex presidente "gringo" soggiorna a Miami, Florida, in compagnia tra gli altri del ex ministro della difesa Carlos Sánchez Berzaín. Il paese, che continua a dirsi “democratico” adesso è nelle mani di Carlos Mesa Gisbert, il vicepresidente dissociato, pronto a tutto pur di riportare la nazione all’ordine. Ma il malcontento di Washington, che non lo vede di buon occhio, potrebbe far tornare nelle strade, come ai tempi della dittatura, la legge marziale e i militari. Boliviani o americani che siano. Di Giovanna Vitrano
:: (14/10/2003) Bolivia: è cominciata la guerra civile. L’insurrezione popolare divide il governo
Ecco la cronaca della successione degli eventi che hanno tramutato la democrazia militarizzata della Bolivia in una guerra civile di fatto. Una guerra che nessuno vuole vedere e riconoscere. Da La Paz - per Selvas.org
Jorge Viaña - Intellettuale boliviano
(Versione italiana di Traduttori per la Pace)

Crisi boliviana in flash
Mercoledì 15 ottobre 2003
Martedì 14 ottobre 2003
• Lunedì 13 ottobre 2003

:: (13/10/2003) Carri armati a El Alto
E’ esplosa sabato notte la guerra per il gas in Bolivia. In tre giorni di scontri si registrano oltre 20 morti e un centinaio di feriti. Il governo ha rinunciato, lunedì mattina, al progetto per l’esportazione del gas, ma il popolo boliviano chiede a tutti i costi le dimissioni del presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, chiamato “Presidente assassino” Di Giovanna Vitrano
• "GUERRA DEL GAS": GLI INTERESSI IN GIOCO

:: (24/09/2003) Bolivia, di tragedia in farsa
Nove morti e venti feriti dopo gli scontri tra civili e militari a Warisata, nell’altopiano paceño. Il governo afferma di essere a caccia di una organizzazione terroristica che aveva il suo quartier generale all’interno dell’università cittadina. Di Giovanna Vitrano

• Il Jacha Omasuyos si espande
(...due giorni dopo l'inizio della sollevazione aymara)

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Quispe, detto "El Malku" - il "condor", con il neo presidente Mesa parlano alla popolazione di La Paz.

Ollanta Humala

Tra le ande peruviane pare che si sia messo in moto un nuovo movimento nazionalista, in grado di ospitare sotto la propria bandiera tutto il discontento degli indigeni peruviani delle ande del Sud, desideroso di prendere esempio dalla rivolta boliviana per fare "traslocare" il presidente Alejandro Toledo.
A capo di questo movimento c'è il maggiore dell'esercito Antauro Humala, il quale riconosce simili obiettivi nei discorsi della Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador (Conaie) e in quelli dei leader boliviani Morales e Quispe.
Il movimento Ollanta prende il nome da Ollanta Humala, un tenente colonnello dell'esercito peruviano attualmente di stanza in Francia come aggregato militare.
Antauro e suo fratello Ollanta capeggiarono nell'ottobre del 2000 la rivolta di una guarnigione militare contro il governo di Fujimori, mentre la sua amministrazione stava già cedendo.
Sotto inchiesta per il gesto, il governo di transizione di Valentín Paniagua li riabilitò per il fatto di essere stati i soli a prendere posizione contro il dittatore.
Oggi il movimento Ollanta rivendica il potere del regno incas di Tahuantinsuyo, che si estendeva fino al XV secolo in Perú, Ecuador, Bolivia, Colombia e Cile. Il regno, poi, si divise in quattro "suyos", territori: Chinchaysuyo, Antisuyo, Contisuyo e Collasuyo. La Bolivia rappresenta oggi l' Antisuyo, che l'aymara Felipe Quispe vorrebbe riportare alla luce.

Il presidente Toledo, di origine indios, fece appello al sentimento nazionalista popolare per vincere le elezioni del 2000, convocando la "marcia dei quattro suyos", come per richiamare Pachacutec, unificatore dell'impero incaico.
Il riferimento a Pachacutec non è gratuito: in Ecuador c'è il movimento Pachacutik, che ha appoggiato inizialmente il governo di Lucio Gutiérrez, e in Bolivia Quispe è a capo del partito Pachacuti.
Ollanta, poi, è il nomignolo di un generale dello stesso Pachacutec, personaggio centrale nella trascrizione teatrale del dramma inca.
Antauro Humala oggi prosegue con i suoi discorsi nazionalisti, con cui minaccia di incendiare le ande peruviane se persiste quella che chiama arresa coloniale a Washington, esattamente come successe più di 500 anni fa con Madrid. I suoi discorsi non incontrano ancora un gran consenso popolare, però la classe politica si è già detta "inquieta".
Antauro Humala, a questo proposito, ha dichiarato alla radio peruviana CPN: "Spavento a uno, appassiono molti".


Gli studi della APDHB e i "difensori" del popolo
Secondo l'Assemblea permanente dei diritti umani in Bolivia, la democrazia conquistata nel 1985 ha già pagato uno scotto davvero drammatico: 280 morti, 700 feriti e 10.000 arresti ingiustificati. Il vicepresidente Sergio Sacha Llorenti ha fatto notare come la violenza di stato e l'impunità sono diventate una tradizione per questa democrazia, capace di instaurare un sistema di conflitti che finiscono con il generare violenza dietro violenza, in una spirale che sembra non poter avere fine. "I governi, nel nome dello Stato, si sono attribuiti il diritto di esercitare una serie di azioni che, con il pretesto di difendere la 'sicurezza nazionale', violano le norme riconosciute da tutti i paesi per proteggere i diritti fondamentali dell'essere umano all'interno di una società", hanno specificato altre persone dell'Assemblea.
La APDHB ha denunciato alla Polizia tecnica Giudiziale che la propria sede di La Paz è stata perquisita da persone sconosciute che hanno sottratto videotapes e documenti. Inoltre ha annunciato la formazione di una Commissione per la Verità per chiarire i fatti che hanno causato le 74 morti della guerra del gas e il ferimento grave di circa 100 civili per mano delle forze dell'ordine.
Intanto, cambiato il governo, si è dimesso Iván Zegada, il Difensor del Pueblo eletto il 3 ottobre scorso addirittura con tre voti in più rispetto al numero totale dei partecipanti alla elezione. Evo Morales aveva denunciato che Zegada era stato informatore della Cia durante il governo di Paz Zamora, anni in cui si era registrata la più importante militarizzazione del tropico cochabambino da parte dei marines statunitensi. Al suo posto, molto probabilmente, tornerà Ana Maria Romero.

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L'analisi, con gli occhi e il cuore di un intellettuale boliviano, di un grande cambiamento che non può dimenticare il dolore di un popolo ferito

Siamo tutti "Alteños"
Bolivia: cacciato il Presidente,
inizia una nuova epoca

Analisi da La Paz di Jorge Viaña

22 de octubre del 2003



(Apri la finestra con l'articolo completo - en español)

La sensazione è quella di non sapere se festeggiare l'espulsione del presidente e l'inizio definitivo di una nuova epoca, o piangere i nostri morti stringendoci a lutto ricordandoci che le lotte popolari sono sempre difficili; queste cose sono difficilmente combinabili e facciamo prima l'uno poi l'altro con in mezzo il bisogno di capire la vera dimensione di ciò che è successo. Questa voragine di emozioni, l'indignazione, la solidarietà, l'ira, il dolore e la speranza mescolate e confuse tra loro ci accompagneranno ancora per un po'.
(...continua)



Il discorso di Carlos Mesa Gisbert alla Nazione
Discurso de posesión del presidente constitucional Carlos Mesa Gisbert
(La Paz, 17 de octubre de 2003)

(en español)



Queridos compatriotas, honorables miembros de este Congreso Nacional: me toca asumir la Presidencia Constitucional de la República en un momento crucial de nuestra historia. Pocas veces en nuestro pasado la nación ha afrontado un momento como este.
Quiero decirles que me embargan tres sentimientos que nacen de mi corazón, el dolor, la esperanza y la fortaleza.
Mi primera obligación compatriotas es rendir mi más profundo sentido y admirado homenaje a las mujeres y a los hombres de Bolivia que en estos días ofrendaron su vida por la patria, por la democracia, por el futuro y por la vida.
Quiero pedirles que nos pongamos de pie y que guardemos silencio por un momento para rendirles homenaje.
Una vez más, el pueblo boliviano se define como un pueblo con una convicción fundamental por la libertad, por la preservación de su integridad, por su concepto de soberanía, por su espacio de lucha permanente, por una democracia para todos.
Este es el escenario sobre el que tenemos hoy que construir nuestro futuro, y creo que es indispensable que entendamos como debemos concebirnos como ciudadanos y cómo debemos concebirnos en ese espacio bajo el manto de la bandera boliviana como bolivianos.

Bolivia es una nación compleja, plural y diversa, y solamente sobre su pluralidad y sobre su diversidad podrá construirse con sentido, pero si no incluimos el concepto de unidad a estos dos otros conceptos esenciales no seremos capaces de preservar como nos pidió el Mariscal Antonio José de Sucre, la integridad de la nación. Solo un premio le pido a la Patria, nos decía el Mariscal Sucre, y es, preservar su unidad.
No podemos hoy mirar a Bolivia sino miramos a quienes durante siglos han estado excluidos y no los miramos en la lógica de darles respuestas a aquello que no es otra cosa que una legítima presencia, una legítima demanda y un legítimo derecho de ser de verdad ciudadanos de primera en un país entre iguales. Y Bolivia no es todavía un país entre iguales.
Debemos ser capaces de entender al país, a partir de étnias como los quechuas, los aymaras, todas las étnicas tan importantes, menciono solo a los guaraníes en el conjunto de nuestro territorio que han construido con su sangre una historia de desigualdad que estamos obligados a reparar.

(Discorso completo)

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Il discorso di Carlos Mesa Gisbert alle Forze Armate

Discurso del presidente de la República Carlos Mesa,
en ocasión del acto de reconocimiento de las Fuerzas Armadas de la Nación

(La Paz, 19 de octubre de 2003)

(in spagnolo)



Señor Comandante en Jefe de las Fuerzas Armadas de la Nación, señor general de Aviación, Roberto Claros; señor jefe de estado Mayor general de las Fuerzas Armadas, general de Ejército, Gonzalo Rocabado Mercado; señor Inspector General de las Fuerzas Armadas, almirante Mario Gutierrez Rea; señores viceministros de Defensa y de Apoyo al Desarrollo Integral; señores comandantes del Ejército, Fuerza Aérea y Fuerza Naval; señores Directores Generales del Ministerio de Defensa Nacional; señor Comandante general de la Policía Nacional; señores Jefes de Estado Mayor de las Fuerzas; Inspectores Generales de las Fuerzas; señores generales, almirantes, oficiales, suboficiales, caballeros cadetes, soldados, señoras y señores.
Creo que en las circunstancias en que esta viviendo el país, mi obligación, mi compromiso es hablar con franqueza y hablar con claridad. No estamos en un tiempo que no permita los matices en las palabras o las vueltas para buscar encarar temas que son profundamente importantes y que hacen al difícil momento que nos ha tocado vivir.
Y voy a dirigirme a ustedes, a las Fuerzas Armadas de mi Patria con franqueza y con claridad.
Quiero primero- e inequívocamente- hacer un reconocimiento al papel de las Fuerzas Armadas de la Nación en los 21 años de democracia que acabamos de cumplir. El primer desafío del pueblo boliviano cuando mira juzga y opina sobre nuestras Fuerzas Armadas es hacerlo en el contexto de la historia reciente y no solo y exclusivamente en el contexto de los dramáticos episodios que hemos vivido en los últimos días y en los últimos meses. Y si somos coherentes con una mirada seria del papel de nuestras Fuerzas Armadas en 21 años , no podemos menos que reconocer que han cumplido una tarea de respeto, en todo el sentido de la palabra, a la Constitución, a su mandato democrático y a la preservación de la integridad y la soberanía del país.
Dicho esto, es importante intentar un análisis de los días que hemos vivido. Y en este contexto es indispensable mirar causas y efectos. Por una serie de circunstancias que venimos arrastrando desde hace años - sino desde hace siglos- la sociedad boliviana, el movimiento popular, los sectores excluidos y discriminados de nuestro país han ido incrementando, no solamente en la calidad, la intensidad, sino también la actitud, movimientos que han generado conflictos sociales.

(Discorso completo)

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Giovanna Vitrano, giornalista e ricercatrice indipendente ha curato diverse inchieste e dossier su politica, società e ambiente del continente latinoamericano. È tra i fondatori dell'Osservatorio Informativo sulla Regione Andina - Selvas.org
E-mail: giovitrano@libero.it


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