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Credere Oggi n 130 lug/ago 2002 Fede e Opere. Sulla giustificazione |
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La dottrina della
giustificazione: criterio per la chiesa
A.
Maffeis
Una delle ragioni che
hanno permesso di portare a termine con successo il processo concluso con la
ratifica da parte cattolica e luterana della Dichiarazione congiunta sulla
dottrina della giustificazione (1999) è stata la scelta di circoscrivere
nella vasta area delle questioni controversie tra le due chiese un tema – la
dottrina della giustificazione – giudicato teologicamente maturo per poter
passare dalla fase del confronto tra le tradizioni confessionali alla fase
della recezione ufficiale da parte delle chiese del consenso raggiunto
attraverso il dialogo teologico. Questa strategia ha permesso di evitare che la
decisione circa la validità dei risultati raggiunti e la loro ratifica fossero
rinviate sine die, in attesa che anche tutte le altre questioni legate
alla controversia storica tra cattolici e luterani fossero risolte. La
procedura adottata ha dunque permesso alle chiese di pronunciarsi in modo
impegnativo su una questione specifica, senza tuttavia che questo abbia
comportato un isolamento della tematica della giustificazione rispetto ad altri
elementi della dottrina cristiana o che si sia dimenticata l’esistenza di altre
questioni su cui permane il dissenso. È infatti evidente che l’ampio campo
della concezione della chiesa, delle sue strutture ministeriali e dei
sacramenti vede la presenza di questioni ancora aperte, che impediscono il
ristabilimento della piena comunione. Del legame che unisce la
dottrina della giustificazione agli altri aspetti della fede cristiana e
dell’insegnamento ecclesiale erano chiaramente consapevoli i redattori della dichiarazione
congiunta, nella quale si menziona tra l’altro il significato della
giustificazione come criterio per l’insegnamento e le strutture della
chiesa. La dottrina della
giustificazione [...] non è soltanto una singola parte dell’insegnamento della
fede cristiana. Essa si pone in una relazione essenziale con tutte le verità
della fede che vanno considerate intimamente connesse tra loro. Essa è un
criterio irrinunciabile che orienta continuamente a Cristo tutta la dottrina e
la prassi della chiesa. Quando i luterani sottolineano il significato del tutto
singolare di questo criterio, essi non negano la connessione e l’importanza di
tutte le verità di fede. Quando i cattolici si sentono vincolati da molteplici
criteri, non per questo negano la particolare funzione del messaggio della
giustificazione[1]. La dichiarazione
congiunta ritiene dunque che sia possibile pronunciare una parola
impegnativa e autorevole sulla questione della giustificazione e, al tempo
stesso, dichiara che questo tema non può essere isolato dall’insieme del
discorso teologico. Il legame tra la dottrina della giustificazione e l’insieme
degli elementi appartenenti alla dottrina cristiana, poi, non è affermato solo
in termini generici, ma è stabilito attribuendo alla giustificazione il
significato di criterio che giudica la comprensione dell’insieme delle
verità della fede. In questo modo trova accoglienza un tema caratteristico
della tradizione luterana che, con Lutero definisce l’articolo della
giustificazione “magister et princeps, dominus, rector et iudex super omnia
genera doctrinarum”[2]. Nonostante il
riconoscimento di questa caratteristica funzione della dottrina della
giustificazione, proprio su questo punto si sono concentrate critiche severe
rivolte alla dichiarazione congiunta e, in generale, alle prospettive
aperte dal dialogo ecumenico. A titolo di esempio si può citare la veemente
presa di posizione di Eberhard Jüngel a proposito del passo citato della dichiarazione
congiunta. A suo giudizio, la dottrina della giustificazione non è
semplicemente un criterio, ma è il criterio e, se si riconosce la
funzione propria della dottrina della giustificazione, non ci si può sentire
vincolati da altri criteri. E se ci si sente vincolati da altri criteri, non
esiste un consenso con la dottrina della Riforma su questo punto decisivo e non
esiste neppure un consenso sulle “verità fondamentali della dottrina della
giustificazione”. Queste infatti sono realtà all’interno di una parentesi sulle
quali si decide attraverso il segno posto davanti alla parentesi. Chi,
nonostante tutto, afferma che esiste un tale consenso, nel servizio alla verità
rimane in debito della chiarezza indispensabile per compiere tale servizio[3]. La presenza di questa e
di simili posizioni mostra come non solo la comprensione della dottrina della
giustificazione in quanto tale, ma anche la sua collocazione all’interno della
“gerarchia delle verità” e il significato a essa spettante in rapporto alla
comprensione della chiesa e dei mezzi e strutture mediante i quali la salvezza
di Cristo si rende presente in ogni tempo rappresenti un aspetto decisivo per
alcuni esponenti della teologia evangelica. Per offrire un contributo alla
chiarificazione delle questioni sollevate in proposito nel dibattito ecumenico
sulla giustificazione, vogliamo approfondire in particolare due questioni. Qual
è il significato dell’attribuzione alla dottrina della giustificazione della
funzione di criterio che giudica l’intera dottrina cristiana? Come deve
essere pensata la relazione tra dottrina della giustificazione e chiesa? 1. La giustificazione
come criterio L’attribuzione alla
dottrina della giustificazione di un significato decisivo per l’insegnamento e
le strutture della chiesa ha le sue radici nella Riforma del XVI secolo.
L’espressione del ruolo di questa dottrina servendosi del concetto di criterio
è invece successiva e si è sviluppata nella teologia luterana del XIX e del XX
secolo. Proprio perché il termine criterio viene spesso utilizzato come se il
suo significato fosse chiaro e univoco, mentre non lo è del tutto, vale la pena
di richiamare alcuni precedenti dell’uso di questa terminologia e di mostrare
in quale contesto teologico essa si sia affermata[4]. L’idea della
giustificazione come criterio è spesso accostata al riconoscimento di questa
dottrina come il “principio materiale” della Riforma, mentre il “principio
formale” è costituito dal sola Scriptura. Tanto il concetto di
“principio” come quello di “criterio” hanno un’origine filosofica. Nell’epoca
moderna con l’idea di “principio” si indicano generalmente i punti di partenza
e le conoscenze fondamentali universalmente valide, sulle quali è possibile
costruire ulteriori conoscenze. Il “criterio” rappresenta invece uno strumento
da utilizzare nella formulazione del giudizio circa la verità; dal punto di
vista etimologico quest’ultimo termine è imparentato con “critica” e viene
spesso utilizzato nel senso di istanza “critica”. È evidente che i due concetti
non sono del tutto sovrapponibili. In quanto punto di partenza e fondamento il
“principio” invita a una ulteriore costruzione e a un più completo sviluppo di
una teoria o di una opinione dottrinale. In quanto istanza critica invece il
“criterio” giudica un dato già esistente, con l’intenzione di eliminare gli
errori eventualmente presenti. L’utilizzazione dei due termini per
caratterizzare la dottrina della giustificazione presenta dunque una tensione:
in quanto “principio” infatti essa costituisce un “punto di partenza
costruttivo”, mentre in quanto “criterio” o “principio critico” essa assume “il
carattere restrittivo di un giudizio circa la verità”[5]. Il dibattito
contemporaneo sulla funzione della dottrina della giustificazione si riferisce
spesso alla visione proposta nel 1949 da Ernst Wolf, il quale attribuisce d
essa il significato di “centro e limite” della teologia della Riforma[6].
A questa prospettiva si è riferito anche Karl Barth per contestare la tesi
luterana della centralità della giustificazione[7].
Per Wolf, al contrario, la dottrina della giustificazione non solo ha una
posizione centrale nella fede cristiana, ma ne rappresenta al tempo stesso il
“limite” poiché essa costituisce la norma sulla base della quale è possibile
stabilire l’autenticità della fede e l’effettiva presenza della chiesa di
Cristo. La prospettiva di Wolf
si rifà a sua volta alle tesi esposte due decenni prima da Hans Joachim Iwand[8]
che, per la prima volta, pone il concetto di “criterio” esplicitamente in
connessione con la dottrina della giustificazione. L’intento dell’autore è di
mostrare in che senso la dottrina della giustificazione costituisca il segno di
autenticità della fede cristiana. A tale scopo egli distingue una definizione
“critica” e una definizione “dogmatica” della fede: il principio sola fide
di Lutero adempie una funzione critica in quanto segna una presa di distanza
rispetto alla giustizia che deriva dalle opere, mentre la fides Christi,
in quanto riferimento oggettivo della fede, è il principio dogmatico. La
funzione critica della dottrina della giustificazione viene fatta valere in
particolare contro la tentazione di identificare la fede che salva con
un’esperienza umana, la quale invece appartiene all’ambito delle “opere”.
L’elemento decisivo nella comprensione luterana della fede può dunque essere
formulato in questi termini: “Lutero non prende per buono come fede tutto ciò
che si spaccia per tale, ma assai prima del grande critico della conoscenza
[Kant] pone alla fede la questione critica del quid iuris. La
delimitazione rispetto all’opera è il criterio della vera fede in Cristo”[9].
Nella prospettiva di Iwand il principio sola fide assume perciò la
funzione di criterio della fede autentica ed è utilizzato in campo teologico in
modo analogo ai criteri della conoscenza autentica definiti da Kant nella Critica
della ragion pura. Nonostante la netta
divergenza tra la prospettiva luterana e barthiana circa la centralità o meno
della dottrina della giustificazione, si può constatare un influsso, almeno a
livello di linguaggio, della teologia dialettica sulla formulazione luterana
del significato della dottrina della giustificazione. Fin dalla prima edizione
del commento alla lettera ai Romani Barth utilizza frequentemente il concetto
di “criterio”, così come i termini “crisi” e “critica”. Il “criterio di Dio”,
secondo Barth, si distingue radicalmente dalle misure umane, ed è rappresentato
dall’atto della sua rivelazione che mantiene la sua assoluta trascendenza
rispetto a tutto ciò che è storico e mondano. Anche la giustificazione è
compresa in questo orizzonte, senza tuttavia che essa sia identificata
specificamente come criterio. Essa anzi tende a perdere il suo contenuto
dogmatico specifico per coincidere semplicemente con l’evento della
rivelazione. Se il linguaggio della
teologia dialettica può avere esercitato qualche influenza su Iwand, dal punto
di vista del contenuto teologico, il presupposto decisivo dell’attribuzione
alla dottrina della giustificazione della funzione di criterio è da collocare
nella teologia luterana del XIX secolo e, in particolare, in Martin Kähler il
quale concepisce la sua dogmatica come sviluppo coerente dell’assioma
costituito dalla dottrina della giustificazione[10].
Si può quindi condividere la conclusione dell’indagine di R. Saarinen circa le
origini dell’attribuzione alla dottrina della giustificazione di un significato
criteriologico. Hans Joachim Iwand è il primo
teologo che, verso il 1930, parla della dottrina della giustificazione come
criterio della fede cristiana nel suo insieme nel senso degli odierni dialoghi
ecumenici. Il concetto di criterio in questo contesto è imparentato con il
linguaggio della teologia dialettica, soprattutto con i concetti di critica e
crisi. Per quanto riguarda la funzione teologica di questa dottrina in Iwand,
egli unisce tratti della filosofia neokantiana della religione di Rudolf
Herrmann con la presentazione assiomatica della dottrina della giustificazione
di Martin Kähler. Per il successivo sviluppo contenutistico del nostro tema
appare di grande importanza soprattutto la sistematica rigorosa di Kähler
poiché essa contiene già numerosi aspetti che hanno prodotto i loro effetti
nella discussione ecumenica successiva[11]. L’excursus
presentato non rappresenta affatto uno sterile esercizio di erudizione. Esso
mostra che la scelta del concetto di “criterio” per definire il rapporto tra la
dottrina della giustificazione e l’insieme dell’insegnamento della fede
cristiana non è affatto neutrale. Questo concetto, al contrario, è carico di
significati storici di grande peso e si trova nel punto di confluenza di due
linee: la critica teologica in nome della gratuità assoluta della salvezza
ricevuta mediante la fede, che ha la sua origine nella Riforma, e la critica
del sapere che caratterizza la filosofia moderna. Questo dato si riconosce in
filigrana nella teologia luterana contemporanea sia nelle posizioni che
ripropongono una visione rigidamente legata ai concetti della Riforma del XVI
secolo[12],
sia nelle posizioni che reintepretano la dottrina della giustificazione in
chiave “metalinguistica” e come “grammatica” del discorso teologico[13]. 2. Giustificazione e
chiesa Alla luce delle
prospettive teologiche menzionate appare più chiara la portata della
discussione sul valore di criterio proprio della dottrina della
giustificazione. Per la tradizione luterana è in gioco il centro del vangelo
che deve essere fatto valere senza ambiguità, non solo quando si parla
direttamente della salvezza cristiana, ma nella trattazione di tutti i temi
teologici e nell’insieme della vita della chiesa. Tale concezione trova
un’immediata traduzione pratica nel modo di intendere la comunione ecclesiale
vissuta tra i cristiani e le chiese. Il consensus de doctrina evangelii
di cui si parla nell’articolo 7 della Confessio Augustana, il cui
contenuto è costituito appunto dalla giustificazione, rappresenta l’unica
condizione necessaria per l’unità della chiesa: se c’è accordo sulla
giustificazione, nulla impedisce che la comunione ecclesiale possa essere
ristabilita e trovi la sua espressione nella comune partecipazione
all’eucaristia. Poiché tuttavia da parte cattolica non si è disposti a trarre
questa conclusione, nasce il sospetto che lo stesso consenso sulla
giustificazione sia solo apparente[14]. Se l’attribuzione alla
dottrina della giustificazione del significato di criterio è un tratto
peculiare della teologia luterana, tale prospettiva non è altrettanto naturale
al di fuori di questa tradizione. Come Barth, anche se per ragioni diverse, la
teologia cattolica non attribuisce spontaneamente alla dottrina della
giustificazione una posizione centrale nel sistema teologico e il ruolo di
criterio esclusivo. È evidente che anche per la teologia cattolica questo
criterio vale nel senso che non si può sostenere una dottrina che contraddica
il principio della gratuità della salvezza di cui la dottrina della
giustificazione è espressione. Ma ciò non significa che si possa dedurre
l’insieme dei contenuti della rivelazione dalla giustificazione come da un
assioma o che questo criterio da solo sia in grado di decidere tutte le
questioni che si pongono nella riflessione teologica. Per questa ragione la
parte cattolica afferma nella dichiarazione congiunta di sentirsi
vincolata a una pluralità di criteri, quali ad esempio la coerenza con la fede
trinitaria e cristologica definita dai concili della chiesa antica. L’ecclesiologia
costituisce un campo privilegiato nel quale la teologia luterana applica il
criterio della giustificazione. Il tema è stato al centro della riflessione
nella terza fase del dialogo internazionale cattolico-luterano e i risultati di
questo approfondimento sono raccolti nel documento Chiesa e giustificazione.
La comprensione della chiesa alla luce della dottrina della giustificazione[15]
(1993). Il testo, fin dall’inizio, rifiuta come falsa l’alternativa tra chiesa
e giustificazione e sottolinea che la fede nel Dio trino abbraccia sia la
giustificazione che la chiesa. Cattolici e luterani possono perciò professare
insieme la loro fede nell’azione del Dio trino che giustifica gli uomini e li
aggrega al suo corpo che è la chiesa: In senso stretto, noi non
crediamo nella giustificazione e nella chiesa, ma nel Padre, che ci usa
misericordia e ci raduna nella chiesa come suo popolo, in Cristo, che ci giustifica
e il cui corpo è la chiesa, e nello Spirito Santo, che ci santifica e che vive
nella chiesa. La nostra fede si estende alla giustificazione e alla chiesa come
opere del Dio trinitario che possono essere debitamente ricevute solo nella
fede in lui. Noi crediamo nella giustificazione e nella chiesa come mysterium,
come mistero della fede, perché crediamo solo in Dio, al quale possiamo
abbandonarci completamente in libertà e amore e sulla cui Parola di salvezza
possiamo impegnare, fiduciosi, tutta la nostra vita[16]. Alla luce di queste
affermazioni, condivise da cattolici e luterani, si deve correggere la tesi,
che continua a essere ripetuta, secondo cui la teologia luterana concepisce la
giustificazione come evento che si compie tra Dio e l’individuo e che prescinde
dalla chiesa. Si deve affermare piuttosto il contrario. La giustificazione si
compie infatti solo mediante la fede e questa è suscitata dalla predicazione
del vangelo che avviene ad opera della chiesa. È a tale scopo che nella chiesa
è istituito un ministero della parola e dei sacramenti posto stabilmente a
servizio della proclamazione del vangelo. Il ministero è onticamente
precedente rispetto alla chiesa: è il mezzo che Dio istituisce e utilizza per creare
l’assemblea che è la chiesa. Questa precedenza ontica è a sua volta
riconoscibile nella precedenza degli apostoli rispetto alla comunità che essi
hanno creato. Dove è in vigore la dottrina della giustificazione della Riforma
e insieme si riconosce che Dio ha dato alla chiesa il carattere di realtà
continua, non è possibile sostenere in modo coerente nessuna dottrina che
interpreti il ministero ecclesiale solo secondo la sua funzione nella chiesa o
la sua relazione con il sacerdozio di tutti i fedeli[17]. La questione non è
dunque se la chiesa sia implicata o meno nell’evento della giustificazione, ma come
essa partecipi e quale rilievo spetti alla sua azione. La teologia luterana, in
nome del criterio della giustificazione, ritiene problematiche in particolare
quanto afferma la teologia cattolica circa la sacramentalità della chiesa.
Nell’ampio studio dedicato alla soteriologia presupposta dai testi di consenso
pubblicati dai dialoghi ecumenici André Birmelé giunge alla conclusione che la
questione fondamentale che divide le chiese della Riforma dalla tradizione
cattolica è un modo differente di intendere il ruolo spettante alla chiesa
nella comunicazione della salvezza. L’autore riconosce che il significato di
formule quali “sacramentalità della chiesa” e “chiesa sacramento di salvezza”
non è univoco e che lo stesso Vaticano II, alla cui autorità abitualmente ci si
riferisce, ne ha fatto un uso assai cauto. La teologia evangelica considera
discutibili le interpretazioni “massimaliste” della sacramentalità della
chiesa, secondo le quali essa riceve la salvezza e, associata a Cristo, è da
lui santificata così da poter diventare a sua volta la fonte dalla quale
l’umanità riceve la salvezza. Tale comprensione della sacramentalità della
chiesa, invece di mantenere la trasparenza della azione ecclesiale rispetto
all’azione di Cristo, tende a vedere l’azione della chiesa come azione di
Cristo stesso. Ne risulta l’idea di una chiesa attiva cooperatrice della
giustificazione nella quale non si mantiene la necessaria distinzione tra
Cristo e la chiesa e si introduce un intermediario creato – la chiesa e il suo
ministero – tra Dio che giustifica e il credente. D’altra parte, nella teologia
cattolica sono presenti anche interpretazioni dell’azione ecclesiale che non
meritano questa critica poiché sottolineano adeguatamente la necessaria
trasparenza per l’azione di Dio. Al di là di quanto
potrebbero suggerire talune formulazioni generalizzanti, l’elemento
discriminante non è quindi il fatto che la chiesa sia strumento nella
comunicazione della salvezza, ma la natura di tale strumentalità. La
tradizione cattolica accentua il carattere attivo della strumentalità
ecclesiale, così che K. Rahner può affermare che la chiesa “attua se stessa”
nella celebrazione dei sacramenti. La teologia evangelica invece può
riconoscere una strumentalità della chiesa, nell’annuncio della parola e nella
celebrazione dei sacramenti, ma, alla luce della dottrina della giustificazione
per la fede, le attribuisce un carattere passivo. Alla scoperta riformatrice
della giustificazione per la sola fede corrisponde nell’ecclesiologia che solo
il Vangelo predicato (e non la chiesa) dà al credente certezza di salvezza. La
chiesa e il suo ministero non hanno alcuna funzione mediatrice (Vermittlung)
che superi la semplice comunicazione (Mitteilung) del Vangelo
liberatore. L’ecclesiologia luterana contemporanea è, su questo punto, erede
fedele della teologia del Riformatore [...]. L’affermazione della
giustificazione per la sola fede nella teologia luterana ha come corollario
necessario l’affermazione di una strumentalità soteriologicamente passiva della
chiesa[18].
Il documento Chiesa e
giustificazione riprende questa problematica e nella sua quarta parte
tratta della chiesa recettrice e mediatrice della salvezza. La
prospettiva dominante in questo capitolo si riassume nella collocazione della
chiesa in posizione recettiva rispetto alla salvezza che le è donata da Dio e,
al tempo stesso, in posizione attiva nella attualizzazione e nella
comunicazione all’umanità di questo dono ricevuto. Una comparazione della
comprensione luterana e cattolica della chiesa non può prescindere dal fatto
che la realtà della chiesa comporta questi due aspetti in linea di principio
inseparabili: la chiesa è, da una parte, il luogo dell’evento salvifico (chiesa
come assemblea radunata, recettrice della salvezza) e, dall’altra, strumento
nella comunicazione della salvezza (chiesa come inviata, come mediatrice di
salvezza). Ma la chiesa come recettrice della salvezza e la chiesa come
mediatrice della salvezza è sempre la stessa chiesa[19]. Storicamente la teologia
luterana ha sottolineato soprattutto il primo aspetto, mentre la teologia
cattolica ha posto l’accento soprattutto sul ruolo attivo spettante alla chiesa
nella comunicazione della salvezza. I membri cattolici del dialogo si
richiamano proprio all’inseparabilità delle due dimensioni per spiegare
l’intenzione soggiacente all’uso del concetto di sacramento in riferimento alla
chiesa: esso non ha altro scopo se non di affermare che la chiesa riceve e al
tempo stesso ha il compito di trasmettere il dono della salvezza ricevuta. La
chiesa è dunque strumento attraverso cui Dio compie la sua azione di salvezza e
i sacramenti che essa celebra sono espressione della sua realtà di luogo in cui
la salvezza è ricevuta e comunicata. Al tempo stesso, si sottolinea il
carattere analogico dell’applicazione alla chiesa della categoria di
sacramento, come mostra il fatto che alla chiesa-sacramento non è possibile
attribuire un’efficacia ex opere operato. Nonostante queste
spiegazioni, la teologia luterana mantiene delle riserve nei confronti di tutto
ciò che tende a offuscare la distinzione e lo “stare di fronte” di Cristo
rispetto alla chiesa: p. es. la concezione dei sacramenti come
“autorealizzazioni” della chiesa, oppure una non adeguata distinzione tra la
chiesa-sacramento e i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia. Alla luce delle
considerazioni presentate, ci si può chiedere se il ricorso alla nozione di
chiesa-sacramento sia veramente utile alla chiarificazione della consistenza
propria della mediazione ecclesiale della salvezza. La possibilità di
interpretazioni divergenti sembra infatti essere presente alla radice stessa
della definizione della chiesa come sacramento: è possibile infatti insistere
sulla relatività del sacramentum rispetto alla res che esso
significa, e alla quale spetta la priorità assoluta, oppure porre l’accento
sulla consistenza propria del sacramentum e sul carattere necessario
della sua mediazione affinché sia data la res. Se la critica protestante
si è rivolta soprattutto contro la seconda interpretazione, non sono mancate
riflessioni sul tema della chiesa-sacramento nelle quali è stato posto
l’accento sulla relatività della chiesa-sacramento rispetto al regno di Dio,
oppure sulla croce come paradigma della rivelazione di Dio e della
comunicazione della grazia, che impedisce ogni glorificazione della chiesa. Una risposta a queste
difficoltà potrebbe venire da una più accurata differenziazione delle forme in
cui la sacramentalità della chiesa si realizza. La teologia della
chiesa-sacramento ha superato l’estrinsecità dei sacramenti rispetto alla
realtà della chiesa, ma comporta il rischio di oscurare la precedenza dei
sacramenti rispetto alla chiesa[20].
A questo pericolo si può ovviare solo mantenendo la fisionomia propria e il rilievo
singolare delle azioni sacramentali che sono compiute dalla chiesa, ma che non
sono a sua disposizione, bensì essa riceve dalla tradizione e, proprio nel loro
sottrarsi alla disponibilità ecclesiale, esprimono la precedenza della grazia. In ogni caso, la
concezione luterana che assegna alla giustificazione il ruolo di criterio per
la chiesa non può essere ignorata o respinta come irrilevante dalla teologia
cattolica. Essa infatti rappresenta un ammonimento a evitare di attribuire alla
chiesa un rilievo tale da oscurare la trascendenza dell’agire divino che si
serve di essa come di uno strumento. Al tempo stesso, le difficoltà della
teologia cattolica nei confronti di quella che le appare una assolutizzazione
di questo criterio, devono indurre a riflettere sul pericolo opposto, cioè di
non riconoscere la consistenza della forma umana e storica in cui la salvezza
diviene concretamente accessibile. Angelo Maffeis
docente di Teologia dogmatica presso lo Studio teologico del Seminario di Brescia Sommario Prendendo spunto dal processo che ha
portato alla firma della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della
giustificazione, l’articolo studia la relazione tra giustificazione e
chiesa e il significato dell’uso della dottrina della giustificazione come criterio.
Nella prima parte sono illustrate le radici storiche dell’idea della
giustificazione come criterio, mentre nella seconda parte l’attenzione è
rivolta alla discussione tra teologia cattolica e luterana sul ruolo spettante
alla chiesa nell’attualizzazione della salvezza. NOTA BIBLIOGRAFICA G. Ancona (ed.), La giustificazione,
Messaggero, Padova 1997; A. Birmelé,
Le salut en Jésus Christ dans les dialogues oecuméniques, Cerf - Labor
et Fides, Paris - Genève 1986; A. Birmelé,
La communion ecclésiale. Progrès oecuménique et enjeux méthodologiques,
Cerf - Labor et Fides, Paris - Genève 2000; M.E. Brinkman, Justification in Ecumenical Dialogue. Central
Aspects of Christian Soteriology in Debate, IIMO, Utrecht 1996; J. M. Galván (ed.), La giustificazione in
Cristo, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1997; P. Hołc, Un ampio consenso sulla dottrina della
giustificazione. Studio sul dialogo teologico cattolico-luterano,
Pontificia Università Gregoriana, Roma 1999; E. Jüngel, Il vangelo della giustificazione come centro della
fede cristiana. Uno studio teologico in prospettiva ecumenica, Queriniana,
Brescia 2000; A. Maffeis, Giustificazione.
Percorsi teologici nel dialogo tra le Chiese, San Paolo, Cinisello Balsamo
1998; A. Maffeis (ed.), Dossier
sulla giustificazione. La dichiarazione congiunta cattolico-luterana, commento
e dibattito teologico, Queriniana, Brescia 2000; H. Meyer - G. Gassmann
(hrsg.), Rechtfertigung im ökumenischen Dialog. Dokumente und
Einführung, O.
Lembeck - J. Knecht, Frankfurt
am Mein
1987; S. Pemsel-Maier, Rechtfertigung
durch Kirche? Das Verhältnis von Kirche und Rechtfertigung in Entwürfen der
neueren katholischen und evangelischen Theologie, Echter, Würzburg 1991. [1] Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (n. 18), in A. Maffeis (ed.), Dossier sulla giustificazione. La dichiarazione congiunta cattolico-luterana, commento e dibattito teologico, Queriniana, Brescia 2000, p. 31. [2] WA 39/1, 205. [3] E. Jüngel, Per amor di Dio – chiarezza! Osservazioni critiche circa la sottovalutazione della funzione criteriologica dell’articolo della giustificazione, in occasione della dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, in Maffeis, Dossier sulla giustificazione..., cit., p. 167. [4] Cf. R. Saarinen, Die Rechtfertigungslehre als Kriterium. Zur Begriffgeschichte einer ökumenischen Redewendung, in “Kerygma und Dogma” 44 (1998), pp. 88-103. [5] Saarinen, Die Rechtfertigungslehre..., cit., p. 90. [6] E. Wolf, Die Rechtfertigungslehre als Mitte und Grenze reformatorischer Theologie, in “Evangelische Theologie” 9 (1949/50), pp. 298-308. [7] Per K. Barth “l’articulus stantis et cadentis ecclesiae non è la dottrina della giustificazione in quanto tale, ma il suo fondamento e il suo vertice: la confessione di Gesù Cristo “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), la conoscenza del suo essere e del suo agire per noi, verso di noi e con noi” (Die Kirchliche Dogmatik IV/1, EVZ Verlag, Zürich 1953, p. 588). [8] H. J. Iwand, Rechtfertigung und Christusglaube, Leipzig 1930. [9] Iwand, Rechtfertigung..., cit., p. 14. [10] Cf. Martin Kähler, Die Wissenschaft der christlichen Lehre, Lepizig 21893. [11] Saarinen, Die Rechtfertigungslehre..., cit., p. 99. [12] Cf. L. Grane, Die ekklesiologische Bedeutung der Rechtfertigungslehre – aus Luthers Sicht, in “Zeitschrift für Theologie und Kirche. Beiheft” 10 (1998), pp. 1-13. [13] Cf. E.W. Gritsch - R.W. Jenson, Lutheranism. The Theological Movement and Its Confessional Writings, Fortress Press, Philadelphia 1976, pp. 36-68. Sul dibattito circa la giustificazione nella teologia contemporanea cf. A. Maffeis, La dottrina della giustificazione da K. Barth a oggi, in G. Ancona (ed.), La giustificazione, Messaggero, Padova 1997, pp. 113-194. [14] Questo è uno dei punti su cui insiste il documento critico sottoscritto da più di duecento teologi evangelici; cf. Documento dei docenti di teologia evangelica circa la dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, in Maffeis, Dossier sulla giustificazione..., cit., pp. 147-150. [15] Cf. EŒ 3/1223-1573. Sui temi del documento cf. A. Maffeis, Giustificazione. Percorsi teologici nel dialogo tra le Chiese, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, pp. 181-215. [16] Chiesa e giustificazione, n. 5; EŒ 3/1235. [17] R.W. Jenson, Rechtfertigung und Ekklesiologie, in “Kerygma und Dogma” 42 (1996), p. 212. [18] A. Birmelé, Le salut en Jésus Christ dans les dialogues œcuméniques, Cerf - Labor et Fides, Paris - Genève 1986, pp. 246. 250. [19] Chiesa e giustificazione, n. 108; EŒ 3/1338. [20] Cf. per esempio G. Colombo, Dove va la teologia sacramentaria?, in “La Scuola Cattolica” 102 (1974), pp. 673-717. |
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