parte introduttiva

Corso 2000-2001

invito alla lettura


Jürgen Habermas
Il discorso filosofico della modernità

 

Jürgen Habermas,
Il discorso filosofico della modernità
,
pp. VII-18,
Laterza, 1987

 

1. Un progetto incompiuto

2. Una civiltà cristallizzata

3. L'approccio anarchico

4. La lezione di Hegel

5. L'emergenza del presente

6. Baudelaire e il canone estetico

7. Soggettività, libertà, riflessione

 

Un progetto incompiuto
La modernità - un progetto incompiuto, era il titolo di un discorso che ho avuto occasione di tenere nel settembre del 1980, quando mi venne conferito il Premio Adorno. Da allora questo tema, assai discusso e ricco di sfaccettature, non mi ha più dato pace. I suoi aspetti filosofici sono penetrati con forza ancora maggiore nella coscienza pubblica tramite la ricezione del neostrutturalismo francese, al pari del termine di «postmoderno», divenuto di moda in seguito ad una pubblicazione di F. Lyotard. La sfida lanciata dalla critica neostrutturalistica della ragione costituisce perciò la prospettiva dalla quale io cerco di ricostruire passo a passo il discorso filosofico della modernità. In tale discorso la modernità, a partire dal tardo secolo XVIII è stata elevata a tema filosofico. Il discorso filosofico della modernità si incontra e si intreccia in vari modi con quello estetico. Ho però dovuto limitare il mio tema: le presenti lezioni non tratteranno quindi il modernismo nell'arte e nella letteratura. [...]

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Una civiltà cristallizzata
Senza dubbio proprio gli studi sulla modernizzazione degli anni Cinquanta e Sessanta hanno fornito i presupposti necessari affinché l'espressione «postmoderno» potesse entrare in circolazione anche fra gli scienziati sociali. L'osservatore sociologico può infatti prendere tanto più facilmente congedo da quell'orizzonte concettuale del razionalismo occidentale in cui è nata la modernità, quanto più si pone dalla prospettiva di una modernizzazione automatica, evolutivamente autonomizzata. Ma una volta che siano state dissolte le connessioni interne fra il concetto della modernità e l'autocomprensione della modernità stessa acquisita dall'orizzonte della ragione occidentale, i processi della modernizzazione che continuano a svolgersi per così dire in maniera automatica possono venire relativizzati dalla prospettiva distaccata di un osservatore postmoderno. Come si esprime Arnold Gehlen in una formula incisiva: le premesse dell'illuminismo sono morte, soltanto le sue conseguenze continuano a svolgersi. Da questa visuale, una modernizzazione sociale che prosegue in modo autosufficiente il suo cammino si è separata dalle spinte di una modernità culturale che in apparenza e divenuta obsoleta; essa attua soltanto le leggi funzionali dell'economia e dello Stato, della tecnica e della scienza, che, secondo quanto si dice, si sarebbero unite in sistema sul quale non si può esercitare alcun influsso. L'inarrestabile accelerazione dei processi sociali si presenta allora come il rovescio di una civiltà ormai esaurita, passata in condizioni di «cristallizzazione». Appunto Gehlen qualifica come «cristallizzata» la civiltà moderna, perché «le possibilità in essa insite hanno sviluppato tutte le loro risorse fondamentali. Sono state scoperte e accettate anche tutte le contropossibilità e tutte le antitesi, di modo che ormai diviene sempre più improbabile operare modificazioni nelle premesse [...]. Se si tiene presente questa idea, si percepirà la cristallizzazione anche in un ambito tanto straordinariamente mosso e variopinto come è quello della pittura moderna». Dato che «la storia delle idee è conclusa», Gehlen può constatare con sollievo «che noi siamo arrivati alla post-istoria», e consigliare, con le parole di Gottfried Benn: «Conta sulle tue risorse». Questo commiato neoconservatore dalla modernità non si riferisce alla sfrenata dinamica della modernizzazione sociale, bensì all'involucro di un'autocomprensione culturale della modernità, che sembra ormai superato.

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L'approccio anarchico
L'idea della postmodernità si presenta invece in tutt'altra forma politica, e cioè in quella anarchica, presso quei teorici i quali non ritengono che si sia verificato uno sganciamento fra la modernità e la razionalità. Anch'essi reclamano la fine dell'illuminismo, oltrepassano quell'orizzonte della tradizione razionale, a partire del quale un tempo la modernità europea ha compreso se stessa - e anch'essi si sistemano nella post-istoria. Ma a differenza dal commiato neoconservatore quello anarchico si riferisce alla modernità nel suo complesso. Mentre sprofonda quel continente concettuale che sorreggeva il razionalismo occidentale di Max Weber, la ragione fa conoscere il suo vero volto, e viene smascherata come soggettività assoggettante e al contempo soggiogata, come volontà di impadronimento strumentale. La forza sovversiva di una critica alla maniera di un Heidegger o di un Bataille, che strappa il velo della ragione dal volto di una pura volontà di potenza, deve al contempo far vacillare quella gabbia d'acciaio in cui si è oggettivato socialmente lo spirito della modernità. In questa visuale la modernizzazione sociale non può sopravvivere alla fine della modernità culturale, dalla quale è scaturita - essa non potrà resistere a quell'«immemorabile» anarchismo, nel cui segno si delinea il postmoderno.
Queste due varianti della teoria del postmoderno, comunque si differenzino fra di loro, prendono entrambe le distanze da quel fondamentale orizzonte concettuale in cui si è formata l'autocomprensione della modernità europea. Ambedue le teorie del postmoderno pretendono infatti di essere uscite da questo orizzonte, di averlo lasciato dietro di sé come orizzonte di un'epoca passata. Ora il primo filosofo che abbia sviluppato un chiaro concetto della modernità è stato Hegel; se vogliamo intendere che cosa abbia significato quell'intima relazione fra modernità e razionalità, che fino a Max Weber era rimasta ovvia, ed oggi è messa in questione, dobbiamo risalire ad Hegel. Dobbiamo renderci conto del concetto hegeliano della modernità, per poter giudicare se sussista a buon diritto la pretesa di coloro che svolgono le loro analisi in base a premesse diverse. In ogni caso non possiamo respingere a priori il sospetto che il pensiero postmoderno si arroghi una posizione trascendente, mentre rimane in realtà vincolato a quei presupposti dell'autocomprensione moderna, che Hegel ha messo in luce. Non possiamo escludere fin da principio che il neoconservatorismo o l'anarchismo estetizzante facciano nuovamente le prove, in nome di un commiato dalla modernità, di una ribellione contro di essa. Potrebbe anche darsi che essi ammantino soltanto la loro complicità con una veneranda tradizione del controilluminismo, spacciandola per post-illuminismo.

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La lezione di Hegel
Hegel per primo usa il concetto della modernità in contesti storici, come concetto di un'epoca: l'«età nuova» è l'«età moderna». Il che corrisponde al contemporaneo uso linguistico inglese e francese: modern times e temps modernes designano, intorno al 1800, gli ultimi tre secoli allora trascorsi. La scoperta del «nuovo mondo», il Rinascimento e la Riforma - questi tre grandi eventi intorno al 1500 - costituiscono la soglia epocale fra l'età moderna e il Medio Evo. Con queste espressioni anche Hegel circoscrive, nelle sue lezioni sulla filosofia della storia il mondo cristiano-germanico, che a sua volta è derivato dall'antichità greca e romana. L'articolazione ancor oggi usuale in età moderna, medio evo ed antichità (oppure di storia moderna, medioevale e antica, che serve per esempio a designare le cattedre di storia) poté costituirsi soltanto dopo che le espressioni di età «nuova» o «moderna» (e di mondo «nuovo» o «moderno») avevano perduto il loro senso puramente cronologico ed assunto il significato oppositivo di un'epoca enfaticamente «nuova». Mentre nell'Occidente cristiano il «tempo nuovo» aveva preannunciato l'ancora attesa età futura del mondo, che si sarebbe avviata soltanto con il Giorno del Giudizio - così intesa ancora nella Filosofia delle epoche del mondo di Schelling -, il concetto profano dell'età moderna esprime la convinzione che il futuro è già incominciato: esso si riferisce infatti all'epoca che vive rivolta al futuro, che si è aperta al nuovo futuro. La cesura del nuovo cominciamento si è quindi spostata nel passato, appunto agli inizi dell'età moderna; soltanto nel corso del secolo XVIII la soglia epocale intorno al 1500 è stata retrospettivamente concepita come tale inizio. R. Koselleck usa come test il momento in cui il nostrum aevum, il nostro tempo, è stato ribattezzato col nome di «nova aetas» - l'età moderna. [...]

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La contemporaneità e l'emergenza del presente
Il mondo nuovo, moderno, si distingue dall'antico in quanto. si apre al futuro; perciò il nuovo cominciamento epocale si ripete e si perpetua in ogni momento del presente che generi da se stesso il nuovo. Spetta quindi alla coscienza storica della modernità la delimitazione dell'«età contemporanea» da quella moderna: all'interno dell'orizzonte dell'età moderna il presente gode, in quanto storia contemporanea, di un valore posizionale prominente. Anche Hegel intende il «nostro tempo» come 1'«età contemporanea», e data l'inizio del presente a partire dalla cesura rappresentata dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese per i più pensosi contemporanei del morente secolo XVIII e dell'incipiente secolo XIX. Con questa «splendida aurora» noi perveniamo - così pensa ancora il vecchio Hegel - «all'ultimo stadio della storia, al nostro mondo, ai nostri giorni». Un presente che si intende a partire dall'orizzonte dell'età moderna, come l'attualità dell'età contemporanea, deve rieseguire come rinnovamento continuato quella frattura che essa ha compiuto col passato. Concordano con tutto ciò quei concetti di movimento che, insieme all'espressione di età «moderna» o «nuova» nascono, oppure acquisiscono il loro nuovo significato, valido fino ad oggi, nel XVIII secolo: rivoluzione, progresso, emancipazione, sviluppo, crisi, spirito del tempo, ecc. Tali espressioni sono divenute anche parole-chiave della filosofia hegeliana, che chiariscono, alla luce della storia dei concetti, il problema che si pone con la coscienza storica moderna della civiltà occidentale, chiarito tramite il concetto oppositivo dell'«età moderna»: la modernità non può né vuole più mutuare i propri criteri d'orientamento da modelli di un'altra epoca; essa deve attingere la sua propria normatività da se stessa. La modernità si vede affidata a se stessa, senza alcuna possibilità di fuga. Il che spiega la facilità con cui la sua autocomprensione si confonde, la dinamica dei tentativi, proseguiti senza posa fino al nostro tempo, per «rendersi conto» di se stessa. Ancora pochi anni fa H. Blumenberg si è visto costretto a difendere, con grande apparato storico, la legittimità ossia il diritto proprio dell'età moderna contro quelle costruzioni che le attribuiscono un debito culturale verso i lasciti del cristianesimo e dell'antichità: «Non è affatto naturale che un'epoca si ponga il problema della propria legittimità storica, esattamente come non è naturale che essa si concepisca in genere come epoca. Per l'età moderna questo problema è latente nella pretesa di compiere e di poter compiere una rottura radicale con la tradizione, e nel fraintendere tale pretesa come realtà della storia, che non può mai incominciare di nuovo fin dal fondamento». A conferma, Blumenberg adduce una dichiarazione del giovane Hegel: «A parte altri precedenti tentativi, è stato riservato soprattutto ai nostri tempi di rivendicare in proprietà degli uomini, almeno in teoria, i tesori che sono stati dissipati in cielo. Ma quale età avrà la forza di far valere questo diritto e di entrarne in possesso?».

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Baudelaire e il canone estetico
Il problema di un'autofondazione della modernità giunge alla coscienza anzitutto nell'ambito della critica estetica, come si può vedere quando si segua la storia concettuale dell'espressione «moderno». Il processo di separazione dal modello dell'arte antica e avviato all'inizio del secolo XVIII dalla celebre Querelle des Anciens et des Modernes. Il partito dei moderni si ribella contro l'autocomprensione del classicismo francese, assimilando il concetto aristotelico della perfezione a quello del progresso, quale era stato suggerito dalla moderna scienza della natura. I «moderni» mettono in questione, facendo uso di argomenti storico-critici, il senso dell'imitazione dei modelli antichi, elaborano, contro le norme di una bellezza assoluta e apparentemente sottratta al tempo, i criteri del bello condizionato dal tempo o relativo, e con ciò esprimono l'autocomprensione dell'Illuminismo francese, che si intende come un nuovo inizio epocale. Benché il sostantivo «modernitas» (insieme alla coppia aggettivale antinomica «antiqui/moderni») fosse già stato adoperato in senso cronologico fin dalla tarda antichità, nelle lingue europee dell'età moderna l'aggettivo «moderno» venne sostantivato solo assai tardi, all'incirca dalla metà del diciannovesimo secolo, e anzitutto di nuovo nell'ambito delle belle arti. Il che spiega perché le espressioni «moderno» e «modernità», «modernité», hanno mantenuto fino ad oggi un centrale significato estetico, improntato all'autocomprensione dell'arte d'avanguardia.
Per Baudelaire a quel tempo l'esperienza estetica della modernità si fondeva con quella storica. Il problema dell'autofondazione si acuisce nell'esperienza fondamentale della modernità estetica, perché qui l'orizzonte dell'esperienza del tempo si contrae nella soggettività decentrata, che si discosta dalle convenzioni quotidiane. Perciò l'opera d'arte moderna assume per Baudelaire una posizione singolare nel punto in cui si incrociano gli assi dell'attualità e dell'eternità: «La modernità è il transitorio, l'evanescente, l'accidentale, è la metà dell'arte, la cui altra metà è l'eterno e l'invariabile». Il punto di riferimento della modernità diviene ora l'attualità che consuma se stessa, e che ci rimette l'estensione di un'età di transizione, di un'età contemporanea - della durata di parecchi decenni - costituita nel centro dell'età moderna. Il presente attuale non può più acquistare la propria autocoscienza nemmeno dal suo opporsi ad un'epoca ripudiata e oltrepassata, ad una figura del passato. L'attualità può costituirsi soltanto come punto d'incrocio fra tempo ed eternità. Con questo contatto diretto fra attualità ed eternità, il moderno non si sottrae certamente alla sua caducità, bensì alla banalità: nella concezione di Baudelaire esso è disposto in modo tale che il momento transitorio troverà conferma come l'autentico passato di un presente che ancora deve venire. Esso si dimostra come ciò che un giorno sarà classico: «classico» è ormai il «fulmine» del sorgere d'un mondo nuovo, che certamente non sarà stabile, perché con la sua stessa comparsa suggella già anche la propria decadenza. Questa concezione del tempo, radicalizzata ancora un'altra volta nel surrealismo, fonda l'affinità fra il moderno e la moda.
Baudelaire si ricollega al risultato della celebre controversia fra gli antichi e i moderni, ma sposta in modo caratteristico i pesi fra il bello assoluto e quello relativo: «Il bello è costituito da un elemento eterno, immodificabile [...], e da un elemento relativo, condizionato [...], che è rappresentato dal periodo, dalla moda, dalla vita culturale, dalla passione. Senza questo secondo elemento, che per così dire è come la glassata allettante e scintillante che rende digeribile la torta divina, il primo elemento sarebbe insopportabile per la natura umana». Come critico d'arte, Baudelaire nella pittura moderna pone in rilievo l'aspetto «della bellezza fugace, effimera, della vita attuale, il carattere di ciò che il lettore ci ha permesso di designare come la «modernità». Baudelaire pone tra virgolette la parola «modernità»; egli è consapevole dell'uso nuovo, terminologicamente arbitrario, di questa parola, per via del quale l'opera autentica è radicalmente legata al momento della sua nascita; proprio perché si consuma nell'attualità, essa può arrestare il flusso uniforme delle banalità, violare la normalità e soddisfare per l'istante di una fuggevole connessione fra l'eterno e l'attuale l'imperitura esigenza di bellezza.
La bellezza eterna si svela soltanto nel travestimento del costume temporale - una caratteristica che più tardi Benjamin rivestirà con l'espressione dell'immagine dialettica. L'opera d'arte moderna sta sotto il segno dell'unificazione fra l'autentico e l'effimero. Questo carattere di presente fonda anche l'affinità dell'arte con la moda, col nuovo, con l'ottica dello flâneur, del genio e del bambino, ai quali manca la difesa che contro le eccitazioni offrono i modi convenzionali della percezione, e che perciò sono esposti senza alcuna protezione agli attacchi della bellezza, degli stimoli trascendenti nascosti in ciò che vi è di più quotidiano. Il ruolo del dandy consiste allora nel rovesciare con fare blasé in offensiva questo tipo di extraquotidianità subìta, esibendola con mezzi provocatori. Il dandy collega ciò che è ozioso e alla moda con il piacere di stupire, senza esser mai egli stesso stupito. È l'esperto del fuggevole diletto dell'istante, dal quale sgorga il nuovo: «Egli cerca quel qualcosa che io mi permetto di designare come la "modernità"; non c'è infatti termine migliore per esprimere l'idea in questione. Per lui si tratta di svincolare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nello storico, e di eterno nel fuggevole». [...]

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Soggettività, libertà, riflessione
Hegel per primo eleva a problema filosofico quel processo di distacco della modernità dalle suggestioni normative del passato, che non rientrano in essa. Certamente, nel corso di una critica della tradizione che accoglie in sé esperienze della Riforma e del Rinascimento, e reagisce agli inizi della moderna scienza della natura, la filosofia moderna, dalla tarda scolastica fino a Kant, esprime già anche l'autocomprensione della modernità. Ma soltanto alla fine del XVIII secolo il problema dell'autoaccertamento della modernità si acuisce a tal punto, che Hegel può vederlo come problema filosofico, e precisamente come il problema fondamentale della sua filosofia. Hegel concepisce come «fonte del bisogno della filosofia» l'inquietudine derivante dal fatto che una modernità priva di modelli deve stabilizzarsi uscendo dalle scissioni che essa stessa ha provocato. Quando la modernità si desta alla coscienza di se stessa, nasce un bisogno di autoaccertamento, che Hegel intende come il bisogno di filosofia: egli infatti ritiene che la filosofia si trovi dinanzi al compito di cogliere il proprio tempo e cioè per lui l'età moderna, nel pensiero. Hegel è convinto di non poter affatto acquisire quel concetto che la filosofia si forma di se stessa, indipendentemente dal concetto filosofico della modernità.
Anzitutto Hegel scopre nella soggettività il principio dell'età moderna. Partendo da tale concetto egli spiega la superiorità del mondo moderno e al contempo il suo carattere di epoca percorsa da crisi: esso si esperisce infatti come il mondo del progresso e al contempo dello spirito estraniato. Perciò il primo tentativo di portare al concetto la modernità nasce insieme ad una critica della modernità.
Secondo Hegel l'età moderna è caratterizzata in generale da una struttura dell'autorelazione, che egli chiama soggettività: «Il principio del mondo moderno in genere è la libertà della soggettività, per cui tutti gli aspetti essenziali, che esistono nella totalità spirituale, si sviluppano, pervenendo al loro diritto». Hegel, quando definisce la fisionomia dell'età moderna (o del mondo moderno), spiega la «soggettività» con la «libertà» e la «riflessione»: «La grandezza del nostro tempo è che esso riconosce la libertà, la proprietà dello spirito di essere in sé presso di sé». In questo contesto l'espressione «soggettività» comporta soprattutto quattro connotazioni: a) individualismo: nel mondo moderno la peculiarità infinitamente particolare fa valere le proprie pretese; b) diritto alla critica: il principio del mondo moderno esige che ciò che ciascuno deve riconoscere si mostri a lui come un che di legittimo; c) autonomia dell'agire: è proprio del mondo moderno che noi ci consideriamo responsabili di quello che facciamo; d) infine, la filosofia idealistica stessa: Hegel considera come l'opera dell'età moderna, che la filosofia colga l'Idea che sa se stessa.
Gli eventi storici decisivi per l'attuazione del principio della soggettività sono la Riforma, l'Illuminismo e la Rivoluzione francese. Con Lutero la fede religiosa è divenuta riflessiva, il mondo divino nella solitudine della soggettività si è mutato in qualcosa di posto da noi. Contro la fede nell'autorità della predicazione e della tradizione, il protestantesimo afferma l'autorità del soggetto che attinge soltanto al proprio giudizio: l'ostia è considerata ancora soltanto come un pezzo di pane, la reliquia ancora soltanto come ossa. In seguito la proclamazione dei diritti dell'uomo e il Code Napoléon hanno considerato quale fondamento sostanziale dello Stato il principio della libertà del volere, contro il diritto storicamente constatato: «Si è ritenuto che il diritto e l'eticità si fondino sull'attuale terreno della volontà dell'uomo, mentre prima erano imposti esteriormente soltanto come comandamento di Dio, scritto nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, o presente nella forma di diritto particolare in vecchie pergamene, quali privilegi, o nei trattati».

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