Leggiamo un ordine del giorno emanato nel giugno
del 1942 dal maresciallo britannico sir Claude John Auchinleck, comandante in
capo delle Forze del Medio Oriente, indirizzato a tutti i comandanti e capi di
Stato Maggiore del Quartier Generale delle truppe inglesi in Egitto e delle
Forze del Medio Oriente:
"Il fatto che il nostro
amico Rommel stia
diventando, presso le nostre truppe, una sorta di mago o di stregone rappresenta
un serio pericolo.
Esse parlano troppo di lui. Benché sia indubbiamente molto
energico e capace, non è assolutamente un superuomo. E anche se fosse un
superuomo, è estremamente spiacevole che le nostre truppe gli attribuiscano
poteri soprannaturali.
Desidero quindi che voi vi adoperiate, con tutti i
mezzi di cui disponete, per bandire l'idea che Rommel sia qualcosa di più di un
semplice generale tedesco. E' particolarmente importante che non si parli mai di
Rommel quando ci si riferisce al nostro avversario in Libia. Si deve dire "i
tedeschi, le potenze dell'Asse, il nemico" ed evitare di ricadere sempre sul
nome di Rommel.
Vi prego di assicurarvi che quest'ordine sia eseguito a tutti
i livelli. Tutti i comandanti devono capire che si tratta, dal punto di vista
psicologico, di una questione della massima importanza".
La
leggenda
di Rommel nacque in Libia, tra la Tripolitania e la Cirenaica, in quella guerra
nel deserto combattuta in modo così straordinario da spingere il suo principale
biografo, l'inglese Desmond Young, a coniare il soprannome di
volpe del
deserto che ancora oggi contraddistingue il grande generale tedesco. Ma
questo scenario di gloria, che rese il feldmaresciallo Rommel così famoso da
indurre il comandante inglese Auchinleck addirittura a vietare di pronunciarne
il nome, non deve far dimenticare che già venticinque anni prima, esattamente
tra il 24 e il 26 ottobre 1917, il tenente Rommel, non ancora ventiseienne,
comandando un distaccamento di truppe alpine pari alla forza di un battaglione,
fu tra i principali protagonisti di una battaglia che passò alla Storia con un
nome che tuttora, per noi italiani, è sinonimo di tremenda sconfitta: Caporetto.
Il giovane subalterno tedesco mise in mostra in quella guerra le sue doti di
ardimento, genialità tattica, elasticità, unite a una resistenza fisica fuori
del comune, con un'avanzata all'interno delle nostre linee che si concretò nel
passaggio del Piave e nella conquista di Longarone, nonché nella cattura di
oltre novemila prigionieri italiani. Per queste imprese Rommel venne decorato
con la medaglia
Pour le Mérite, la più alta onorificenza tedesca, che
tradizionalmente veniva concessa solo ai gradi superiori, con particolare
preferenza se provenienti da quella nobiltà che rappresentava il serbatoio
principale dell'alta ufficialità delle Forze Armate del Kaiser.
Abbiamo fatto
un salto brusco all'indietro, e ce ne scusiamo con i nostri lettori, ma era a
nostro avviso necessario per rendere giustizia al nostro personaggio, passato
alla Storia col soprannome che ricordavamo sopra ("Volpe del deserto"), ma che
fu, fin dagli inizi della sua carriera, un soldato assolutamente eccezionale.
Vorremmo anche sottolineare un particolare interessante nella vicenda di
Rommel: fu uno dei pochissimi generali tedeschi che non lasciarono dietro di sé
una scia di odio, pur essendo stato uno dei protagonisti del secondo conflitto
mondiale, la guerra più crudele che l'umanità abbia mai conosciuto, dove ogni
concetto di lealtà e rispetto per l'avversario fu quasi sistematicamente
schiacciato da una furiosa visione manichea (per altro presente in entrambi gli
schieramenti) delle ragioni dello scontro. Non è un caso se i principali
biografi (e in genere elogiativi) del nostro personaggio furono inglesi. Ed è
ben nota la riluttanza degli inglesi a riconoscere doti agli esseri umani che
abbiano la disgrazia di non essere inglesi.
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Rommel fu uno
dei pochissimi generali tedeschi che non lasciarono dietro
di sé una scia di odio |
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La
vicenda umana e militare di Rommel si intrecciò, e profondamente, con quella di
uno dei personaggi più satanici che mai abbiano infestato la Storia umana.
Hitler e Rommel costituirono per alcuni anni un binomio affiatato; il dittatore
riponeva un'assoluta fiducia nel generale, che lo ricambiava con una devozione
leale. Poi qualcosa cambiò, e la fine di Rommel, crudele oltre ogni
immaginazione, ripulì la sua figura anche da qualsiasi compromissione realmente
profonda col nazismo, facendone anzi un simbolo del risveglio di coscienza della
parte sana della Germania.
Fu vera gloria? Noi siamo i posteri, tenteremo
quindi anche noi di dare il nostro contributo per formulare una così
ardua
sentenza. E per farlo, iniziamo subito, dopo questi
flash, a fare
un po' d'ordine nella nostra narrazione.
Erwin Johannes Eugen Rommel nasce a
Heidenheim, cittadina del Wurttemberg, domenica 15 novembre 1891. E' il terzo di
cinque figli. La famiglia Rommel è molto stimata: il padre, Erwin, è professore
di matematica e la madre, Helena, è la figlia primogenita di Karl von Luz,
presidente del governo locale del Wurttemberg. I Rommel non sono nobili, ma
fanno parte di quella alta borghesia (il padre, nel 1898, diverrà preside del
Realgymnasium di Aalen, piccolo centro non distante da Heidenheim) per la quale
il
Servizio allo Stato è la più nobile delle missioni. La stessa scelta
del giovane Erwin per la carriera militare va inquadrata senza dubbio in questo
contesto, anche se nella famiglia mancava una tradizione militare e mancavano
gli agganci con quella irraggiungibile alta nobiltà, l'appartenenza alla quale
era la miglior garanzia per una carriera militare fino ai gradi massimi.
La
carriera militare era considerata in assoluto il più importante tra i
Servizi allo Stato. Ma Erwin Rommel non era nobile, come dicevamo, né
era prussiano, e anche questo era considerato un
handicap nel composito
impero tedesco, in cui la Prussia era lo Stato per eccellenza più militarista e
autoritario (Il titolo esatto del Kaiser era
Imperatore di Germania e Re di
Prussia). Il giovanotto poteva aspirare a una onorevole carriera, e nulla
più, con l'ottica della Germania imperiale del 1910. Ma in pochi anni la
Germania avrebbe subito tanti e tali cambiamenti, da riscrivere il destino di
molte persone.
Il giovane
aspirante Erwin Rommel entra il 19 giugno
1910 nel 124° reggimento di fanteria del Wurttemberg. L'
aspirante è il
giovane che ha fatto domanda per essere ammesso alla
Kriegsschule, la
Scuola di Guerra: viene arruolato come soldato semplice, e come tale vive e si
addestra nelle compagnie reggimentali. Dopo un periodo prestabilito, di almeno
sei mesi, i superiori valuteranno se l'
aspirante abbia o meno le
attitudini per intraprendere la carriera di ufficiale.
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Erwin Rommel
riceve da Hitler i complimenti per le sue azioni
militari |
Erwin Rommel, caporale dopo quattro
mesi e sergente dopo sei, viene dichiarato idoneo, e alla fine di marzo
dell'anno successivo inizia i suoi corsi alla
Kriegsschule di
Danzica.
La poche notizie di Rommel bambino ci parlano di un fanciullo
abbastanza riservato, gracile, poco incline allo studio. Attorno ai dieci anni,
qualcosa scuote il giovinetto, che si stanca di essere uno scolaro eternamente
scarso e alquanto imbranato. Si impegna finalmente sui libri e nello sport; non
è più oggetto del dileggio dei compagni, diventa un giovanotto robusto, dimostra
una forza di volontà e una resistenza fisica che resteranno sue caratteristiche
per tutta la vita. E il diciannovenne aspirante Erwin Rommel mostra attitudine
al comando, decisione, e un indubbio ascendente sui coetanei; inoltre ha un
assoluto rispetto dei superiori e una perfetta osservanza delle regole. E'
insomma quel che si potrebbe definire un
soldato nato. Alla fine di
gennaio del 1912 Rommel supera gli esami con il massimo dei voti e la lode, ed
esce dalla Kriegsschule con il grado di sottotenente, assegnato, quale
istruttore di reclute, al suo vecchio 124° reggimento di fanteria.
Sono
ancora tempi felici per la Germania, che vive ammirando sé stessa e la sua
potenza. Il Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern, con le sue rutilanti uniformi
(che oggi ci appaiono ridicole, ma che allora suscitavano ammirazione e
rispetto), attorniato dagli altezzosi ufficiali del suo Stato Maggiore,
rappresenta la più grande nazione del mondo. Le industrie tedesche esportano in
tutto il mondo prodotti di alta qualità, nelle fabbriche tedesche si lavora
sodo, anche perché lo sciopero è
sabotaggio, come tale punibile con la
galera. L'esercito tedesco è considerato il migliore del mondo, e la Marina
gareggia in potenza con quella inglese.
Ma la Germania suscita l'ammirazione
del mondo anche per la sua affidabilità negli affari, per la sua amministrazione
pubblica esemplare, per i suoi primati nella cultura, nelle scienze, nella
filosofia, nella musica. Dio protegge di certo l'Imperatore e non può che
riservare un luminoso avvenire a una nazione così grande e ai suoi
figli.
Questa grandezza, in buona parte reale e in parte gonfiata
dall'orgoglio tedesco, ha il suo lato pericoloso: nell'impero di Germania le
forze armate non sono solo un necessario strumento di difesa. L'alta ufficialità
è una società nella società, è la casta superiore, al vertice della quale sta
l'imperatore, alla quale è affidato il destino della patria.
Non possiamo non
considerare questa atmosfera tutta particolare, se vogliamo capire quale poteva
essere lo stato d'animo di un giovane che arrivava alla agognata nomina a
sottotenente. Il durissimo addestramento di caserma era un sacrificio più che
accettabile, avendo come ricompensa il fatto di entrare in una specie di
Empireo, di avere davanti a sé una strada che non poteva essere che luminosa e
ricca di gloria. Né l'addestramento era duro solo dal punto di vista fisico. Il
soldato, il vero soldato, imparava che la virtù principale era l'obbedienza, e a
qualsiasi livello, eccezion fatta per l'Imperatore, c'era sempre qualcuno a cui
obbedire.
In questo clima, che chiameremmo di
esaltazione
controllata, la guerra non era vista come una funesta disgrazia, ma
piuttosto come una tappa esaltante su cammino radioso, tanto più considerando
che l'esito non poteva essere che vittorioso per le armi tedesche.
Erwin
Rommel, sottotenente di prima nomina, torna dunque al suo 124° Reggimento. La
prima volta aveva varcato il portone della caserma come soldato semplice. Ora
viene accolto col tradizionale brindisi di benvenuto da parte degli altri
ufficiali, ha un suo alloggio con un attendente, conosce insomma quella parte
della vita militare riservata alla chiusa casta degli ufficiali, che evitano
accuratamente ogni contatto con la truppa nelle ore in cui non sono in servizio.
Altrimenti, dove si va a finire, se non si mantengono ben definite le differenze
su cui si basa una società sana e ordinata? E' difficile pensare
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Rommel era un
uomo tranquillo nel servizio come nelle faccende private
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che
un giovane di ventuno anni non senta l'aspetto inebriante di far parte di una
casta superiore (tra l'altro, è tradizione che anche i civili salutino,
togliendosi il cappello, gli ufficiali); ma Rommel mostra da subito di non
gradire molto la compagnia dei suoi altezzosi colleghi. Durante il giorno si
trova a continuo contatto con la truppa, è un addestratore di reclute pignolo e
scrupoloso, ma che sa anche guadagnarsi l'affetto dei soldati che vedono, una
volta tanto, un ufficiale che non li tratta in modo sprezzante e distaccato, che
si sottopone agli stessi ritmi durissimi, che nei pochi minuti di intervallo che
interrompono le ore di addestramento parla con la truppa, sa essere cordiale
senza per questo venir meno alla disciplina. Il futuro feldmaresciallo che nel
deserto africano si sposta da un punto all'altro del fronte per controllare di
persona la situazione, sfidando il fuoco nemico insieme ai suoi soldati, nasce
qui, nei cortili della caserma del 124°, dove Rommel, ufficiale da truppa,
legato alla truppa, viene a poco a poco isolato dai suoi colleghi, che avvertono
che questo sottotenente, non nobile, non prussiano, non sprezzante degli
inferiori, non è
uno dei loro. Né Rommel se ne duole: la sera, quando è
libero dal servizio, non cerca compagnia o divertimenti; si ritira nel suo
alloggio e scrive la lettera quotidiana alla sua fidanzata, Lucie Maria Mollin,
conosciuta a Danzica nel periodo della Scuola di Guerra. Lucie Maria, di origine
veneta, stava ultimando i suoi studi per diventare insegnante di lingue, e aveva
un'amica, cugina di un commilitone con cui Rommel andava spesso in libera
uscita. Tra loro c'era stato il classico
colpo di fulmine. Ma nella
severa Germania imperiale non era neanche pensabile che due giovani innamorati
si frequentassero liberamente, come e quando volessero. Anzitutto il giovane
pretendente doveva
farsi una posizione, poi il padre della ragazza
avrebbe potuto iniziare a prendere in considerazione una richiesta di
matrimonio.
E ogni sera Rommel scriveva alla sua fidanzata, ed era sempre
pronto a sostituire i colleghi nei servizi di caserma, tanto lui non usciva
quasi mai. Non fumava, non era un bevitore, non cercava avventure femminili.
Probabilmente era, per la media degli ufficialetti giovani, un compagno noioso,
il cui unico svago era la lettura di libri di storia o di tattica militare. Era,
in ogni cosa che faceva, un equilibrato, un
uomo tranquillo (per quanto
questa definizione possa andar bene per chi ha scelto la carriera delle armi),
nel servizio come nelle faccende private. Ed era comunque un isolato, un uomo
che maturava la sicurezza in sé stesso e la traduceva spesso in
solitudine.
Per due anni la
routine di caserma va avanti; il giovane
sottotenente si è già segnalato all'attenzione dei suoi superiori come uno dei
più affidabili ufficiali giovani. Ma sono alle porte avvenimenti eccezionali. Il
vento di guerra sta spirando sempre più forte, e la gioventù tedesca,
catechizzata già sui banchi di scuola sugli inevitabili destini di gloria, sente
che sta per arrivare il suo grande momento. Chi può immaginare che sarà l'inizio
della fine, non solo per l'Impero Tedesco, ma per tutto il sistema politico che
ha retto l'Europa, per tutta una visione del mondo ormai vecchia e stantia? Non
lo può certo immaginare un giovane ufficiale, per il quale è anzi un punto
d'onore
non far politica. Quando il 31 luglio del 1914 il sottotenente
Rommel, aggregato per qualche mese di addestramento a un reggimento di
artiglieria a Ulm, viene d'urgenza richiamato a Weingarten, al suo 124°, sa solo
che sta per scoccare finalmente l'ora decisiva: si va a combattere, per
vincere.
Rommel è assegnato al fronte francese. Il suo modo di fare la guerra
si palesa subito, dal primo contatto col nemico.
22 agosto 1914, alle 5 del
mattino. Bisogna eliminare un nido di resistenza francese nel piccolo villaggio
di Bleid, presso Longwy. Una nebbia fittissima favorisce la marcia di
avvicinamento del plotone guidato dal sottotenente Rommel, che arriva a contatto
con le prime case del villaggio. Qua fa fermare i suoi uomini e avanza in
esplorazione, nel massimo silenzio, accompagnato da un sergente e due soldati.
Ma i francesi hanno avvertito qualcosa, e all'improvviso una ventina di
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Il generale
Rommel fotografato mentre dirige un'azione nella campagna d'Africa
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soldati nemici si parano davanti ai quattro
tedeschi. Bisogna prendere una decisione fulminea.
Chiunque si
ritirerebbe, con una tale disparità di forze. Ma Rommel non è chiunque. Piomba
sui nemici con i suoi tre accompagnatori, sparando e urlando; la sorpresa è così
grande che i francesi si sbandano, pensano di avere di fronte una forza ben
superiore, e si arrendono. Rommel li disarma, poi prosegue, ora seguito dal
resto del suo plotone, facendo il maggior chiasso possibile, dando alle fiamme
le prime case che incontra, spargendo il panico. Le forze francesi restanti, due
compagnie, pensano di aver di fronte il grosso delle forze tedesche, e depongono
le armi. Nell'arco di un paio d'ore Rommel può rientrare nelle proprie linee con
i prigionieri e annunciare che il nido di resistenza di Bleid è stato
eliminato.
Rommel ha
inaugurato quello che sarà il suo modo più
frequente di condurre le operazioni militari. Anzitutto, privilegiare sempre
l'attacco. Soprattutto quando è inatteso, l'attacco sparge facilmente il panico:
la sorpresa può quindi risolvere situazioni di inferiorità anche grave. Inoltre
un attacco operato con determinazione dà sempre al nemico la sensazione di avere
di fronte una forza di chissà quali dimensioni. Coraggio, capacità di decidere
fulmineamente, sono le doti necessarie per combattere in questo modo. Ma se
l'ufficiale le ha, i suoi uomini lo seguiranno.
Il nome di Rommel, ufficiale
sempre alla testa dei suoi uomini, incomincia a divenire popolare. Una ferita,
riportata il 24 settembre 1914 per "avere affrontato tre francesi da solo e con
il fucile scarico" lo ferma per tre mesi, ma già il 29 gennaio dell'anno
successivo, sulle Argonne, il giovane sottotenente guadagna la sua prima
decorazione, la Croce di Ferro di prima classe: alla testa del suo plotone aveva
respinto il contrattacco lanciato da un battaglione francese dopo che le forze
tedesche avevano occupato alcune casematte. Assieme alla decorazione arriva la
promozione al grado di tenente, e poco dopo l'assegnazione al costituendo
battaglione alpino Wurttembergische Gebirgsbataillon. Sarà il reparto della sua
gloria. Dopo un periodo di addestramento in Austria la nuova unità è destinata
al fronte dei Balcani e Rommel fa appena in tempo a chiedere un breve permesso
per correre a Danzica e sposare la sua fidanzata Lucie Maria, il cui padre era
ora orgoglioso di diventare suocero di un ufficiale che si stava facendo un così
buon nome. E' il 27 novembre 1916; per i due giovani sposi non c'è luna di
miele. Due giorni di permesso, poi di nuovo al fronte.
Alla testa dei suoi
alpini Rommel compie altre imprese, portando innovazioni che si dimostrano
subito vincenti. Esperto montanaro, dotato di un fisico eccezionale, guida i
suoi uomini per i sentieri più impervi, cioè esattamente dove il nemico pensa
che nessuno potrebbe passare. Fa sfilare i reparti in cresta, mai in fondovalle,
dove risultano visibili e facile bersaglio. In Romania, nell'agosto del 1917, la
conquista del monte Cosna e del villaggio di Gagesti diventano esempi di questo
modo nuovo di condurre le operazioni, piombando all'improvviso sul nemico ed
attaccando con la maggior violenza possibile, approfittando anche dello
sbigottimento di chi si vede attaccato da punti imprevedibili. I suoi uomini
ormai lo adorano, perché essere guidati da Rommel vuol dire coprirsi di gloria e
servire con un ufficiale che ha anche una preoccupazione tutt'altro che diffusa
all'epoca, ossia quella di ridurre al minimo le perdite tra i suoi uomini. Ma
anche i nemici lo rispettano: Rommel dimostra doti di condottiero non comuni, ma
sa anche trattare con umanità il nemico vinto. I prigionieri non subiscono alcun
maltrattamento, ricevono il rancio e l'assistenza degli stessi soldati che li
hanno catturati. Del resto, non ha motivo di
odiare il nemico.
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Rommel dimostra doti
di condottiero non comuni, ma sa anche trattare con umanità i
prigionieri |
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Lo
combatte perché lui è un ufficiale e fare la guerra è il suo lavoro. E lo sa
fare benissimo, come dimostrerà sul nuovo fronte dove sarà destinato con i suoi
alpini. Sarà l'occasione per gli italiani di far la conoscenza diretta di questo
tenente ormai famoso. Il fronte è quello dell'Isonzo, la battaglia, lo dicevamo
in apertura, è quella che segnò il momento più drammatico per il nostro
esercito: Caporetto.
24 ottobre 1917. Dopo un furioso bombardamento di
quattro ore, le truppe austro-ungariche, rinforzate da sette divisioni tedesche,
lanciano l'offensiva. Il tenente Rommel, alla testa di sei compagnie
(esercitando funzioni da ufficiale superiore, cosa questa tutt'altro che
infrequente nell'esercito tedesco), supera di slancio un battaglione bavarese al
quale avrebbe dovuto fornire la copertura, ma che è rimasto bloccato nelle
trincee dal fuoco italiano. Rommel punta a un caposaldo apparentemente
imprendibile, il monte Matajur, e per raggiungerlo entra decisamente nelle linee
italiane, iniziando una marcia che ha dell'incredibile, e i cui risultati si
esprimono nelle cifre: novemila prigionieri, di cui 150 ufficiali, e un bottino
di duecento mitragliatrici pesanti, ottantuno cannoni da montagna, seicento
muli, duecentocinquanta veicoli di materiali, dieci autocarri e due ambulanze.
La sua tattica dell'attacco a sorpresa è ancora una volta vincente, si arrendono
a lui intere brigate. Dal monte Matajur poi Rommel punta sul Piave; ha capito
che lo sfondamento sull'Isonzo non sarà decisivo se si lascerà agli italiani la
possibilità di attestarsi sul Piave. Il tenente Erwin Rommel è il primo tedesco
a varcare il fiume che entrerà nella leggenda, superandolo a nuoto con sei
uomini. Questa pattuglia semicongelata e fradicia piomba su Longarone con la
solita tecnica, sparando e facendo il maggior chiasso possibile; i soldati
italiani di presidio, che non riescono a capire da dove siano arrivati i
tedeschi, si arrendono. Rommel accetta la resa e prende possesso di Longarone.
E', dicevamo, il primo tedesco a passare il Piave e, per nostra fortuna, anche
l'ultimo. La rapidità della penetrazione in territorio italiano ha colto di
sprovvista gli stessi comandi austro ungarico e tedesco, che ora hanno il
problema di ricongiungere le avanguardie con il grosso delle forze. Le conquiste
fatte si riveleranno ben presto una vittoria di Pirro, ma ciò nulla toglie al
valore eccezionale dell'azione di Rommel: la promozione a capitano e la medaglia
Pour le Mérite sono il premio per il giovane ufficiale, ormai eroe
nazionale, e proprio come tale trasferito allo Stato Maggiore. E' un onore che
Rommel, molto più portato all'azione, non gradisce molto. Ma è il destino degli
eroi, che non devono più esporre la loro vita al pericolo, perché servono per
alimentare la propaganda, per entusiasmare gli animi. E nello Stato Maggiore il
neo capitano ventiseienne concluderà la Grande Guerra. Sarà un ultimo anno di
guerra pieno di amarezza, ma sarà ancora poco in confronto a quanto la Germania
dovrà sopportare poi, come nazione non solo sconfitta, ma anche pesantemente
punita dalle Potenze vincitrici.
Il trattato di Versailles aveva imposto alla
Germania un disarmo massiccio; Erwin Rommel era uno dei soldati tedeschi rimasti
in servizio e questo, in un Paese in cui la fame e la disoccupazione iniziavano
a dilagare, costituiva già una situazione di privilegio. Ma il caos in cui ogni
giorno di più precipitava la Germania non potevano lasciare indifferente un
militare di carriera, cresciuto a una scuola di disciplina e di granitiche
certezze. La Repubblica di Weimar è devastata da scioperi che aggravano lo stato
di un'economia agonizzante e da tentativi di colpi di Stato operati dai più
fanatici ex ufficiali, associati nel famigerato
Corpo Franco,
antesignano delle formazioni paramilitari con cui il nazismo inizierà la sua
tragica avventura. I reduci sono spesso oggetto di aggressioni, le loro
decorazioni vengono strappate da folle fomentate da sindacalisti e socialisti
fanatici. Ma ancora più penoso è lo spettacolo offerto da quei reduci
smobilitati, rimasti disoccupati, che ostentano le loro mutilazioni di guerra
per impietosire il passante e mendicare un tozzo di pane. La prostituzione
dilaga, e con essa il crimine, in un Paese in cui tutto sembra crollare, in cui
l'inflazione ha raggiunto livelli che, se si avesse ancora la forza di ridere,
sarebbero addirittura umoristici: il marco tedesco è divenuto carta straccia, la
svalutazione galoppa con cifre a due zeri, e in non pochi casi si torna
all'economia del baratto.
Il capitano Erwin Rommel tocca con mano lo sfacelo
nell'estate del 1919, quando viene inviato nella
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Il generale
inglese Montgomery che combattè contro Rommel in
Africa |
città marinara di Friedrichshafen, al
comando di una compagnia in servizio di ordine pubblico. I marinai che
costituiscono la sua truppa sono
rossi, accettano solo gli ordini che
vengono confermati dal commissario politico. Il soviet del reparto stabilisce
orari e limiti del servizio di ordine pubblico. Rommel deve sopportare ciò che
solo un anno prima gli sarebbe sembrato assolutamente incredibile, ma riesce, in
circa sei mesi di servizio in quella città, a creare una sorta di
modus
vivendi con questa truppa riottosa e indisciplinata.
E' ben contento
quando viene nuovamente assegnato a incarichi puramente militari, col comando di
una compagnia del 13° Reggimento di fanteria, a Stoccarda. Qui resterà nove
anni, fino alla nuova destinazione, la Scuola di Fanteria di Dresda, dove avrà
mansioni di istruttore. E' un incarico che gli piace, e le sue lezioni di
tattica diventeranno presto famose e apprezzate anche fuori dalla Germania.
Rommel ormai sembra un tranquillo ufficiale
da scrivania. Il 24
dicembre del 1928 ha avuto finalmente la gioia di diventare padre, la casa e la
famiglia sono il rifugio in cui si dirige subito non appena terminato il
servizio. Resta l'amarezza di una carriera bloccata, in un Paese che sembra aver
rinnegato il suo antico militarismo. Un ufficiale decorato con la
Pour le
Mérite avrebbe avuto, in altri tempi, una carriera veloce. Ora invece la
nomina a maggiore arriva solo il 10 ottobre 1933, assieme a un nuovo
trasferimento, al comando del 3° Battaglione del 17° Reggimento Alpini, con sede
a Goslar. Il 31 gennaio di quello stesso anno è diventato Cancelliere un uomo
nuovo, che si distingue senza dubbio dalla massa dei politici guardati con
diffidenza dai militari: si chiama Adolfo Hitler.
Rommel non si è mai
interessato di politica, fedele al suo principio che un soldato è al servizio
del Paese, e quindi del governo. Di Hitler sa quello che si dice in ambiente
militare, dove il capo dei nazionalsocialisti è considerato con disprezzo solo
dai più schizzinosi
Junker (nobili), che mal sopportano che un
ex-caporale possa prendere la guida del governo. Ma l'impegno a restaurare i
valori nazionali, a combattere il comunismo, a ridare prestigio alle
Forze Armate, fa sì che Hitler sia in genere ben visto tra i militari, anche se
la corte di figuri che lo circondano non è amata da nessuno. Nessuno è più di
tanto turbato dal fatto che Hitler sia vessillifero del razzismo, della
violenza, della negazione della democrazia. La prova che la democrazia ha dato
in Germania dal 1918 in poi è stata tale che pochi, e tanto meno i militari, la
rimpiangono. Ora il Paese ha fame di ordine, e vuole riconquistare anche quella
dignità che sembra aver smarrito. La tragica miopia delle imposizioni di
Versailles ha spianato la strada al revanscismo, e Hitler lo sa cavalcare alla
perfezione.
Il primo incontro di Rommel con i nazisti avviene a Goslar, in
occasione di una cerimonia militare, e più che un incontro è uno scontro. Alla
presenza di Heinrich Himmler e di Joseph Goebbels devono sfilare i soldati del
battaglione di Rommel, ma il programma prevede che siano preceduti da un reparto
di SS. Rommel non accetta quello che considera uno sgarbo al suo reparto, e dice
ai due gerarchi che, se non verrà mutato l'ordine della sfilata, lui non farà
partecipare i suoi uomini. Himmler e Goebbels capiscono che irritare un eroe di
guerra non è buona politica: gli danno ragione e lo invitano a pranzo per
suggellare la riconciliazione. Goebbels, che è un maestro nell'arte di avvincere
a sé le persone, è prodigo di complimenti con Rommel, tutt'altro che insensibile
alle adulazioni. Seguiranno altri incontri con il Ministro della Propaganda, che
nell'autunno del 1935 lo presenterà a Hitler.
L'incontro non è casuale, non è
solo un atto di cortesia riservato a un ufficiale particolarmente illustre. I
nazisti hanno messo gli occhi su Rommel e hanno capito che può
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Hitler pone
il colonnello Erwin Rommel alla testa del
Führerbegleit bataillon |
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essere
l'uomo ideale, peraltro già apprezzato dal Führer, che ha letto le dispense
delle sue lezioni di tattica tenute alla Scuola di Dresda. E' un eroe nazionale,
ma non fa parte di quella categoria di altezzosi nobili di cui è ancora piena
l'ufficialità, anzi, li detesta cordialmente, in ciò nutrendo gli stessi
sentimenti di Hitler. E' un militare tutto d'un pezzo, che non mette in
discussione l'obbligo di obbedienza. Rommel desta buona impressione in Hitler e
il 15 ottobre 1935, appena poche settimane dopo l'incontro, viene promosso
tenente colonnello e comandato in servizio all'Accademia Militare di Potsdam, a
pochi chilometri da Berlino.
E' l'ingresso ufficiale nel Palazzo del Potere:
Potsdam vuol dire avere contatti continui con gli ambienti politici, e ormai
l'unico ambiente politico è il nazismo. Hitler nutre così fiducia nella sua
nuova
scoperta, da assegnare a Rommel anche un altro delicatissimo
incarico, nominandolo istruttore generale della
Hitlerjugend, la
gioventù hitleriana. Rommel mantiene per qualche tempo entrambi gli incarichi,
ma ben presto si accorge che il ruolo dirigente nella
Hitlerjugend non
fa per lui. Gli si chiede di tenere anche lezioni di indottrinamento politico
che lui non vuole fare; entra in contrasto con Baldur von Schirach, il gerarca
di partito, teoricamente suo collega nella direzione della gioventù, e presenta
le dimissioni, che vengono accettate.
E qui ci sembra necessario sottolineare
che le dimissioni di Rommel sono dettate dal fatto che lui, militare, è disposto
a dare ai giovani istruzione militare. Non vuole occuparsi di politica, non
perché ponga in discussione la politica nazista, ma perché non fa parte dei suoi
compiti di ufficiale. Il Führer, che ha capito il suo uomo, non gli toglie
infatti la fiducia. Anzi, nell'autunno dell'anno successivo (siamo ormai nel
1937) arriva la promozione a colonnello, e il 9 novembre del 1938 Rommel riceve
da Hitler un altro incarico di grande importanza: è nominato direttore
dell'Accademia Militare di Wiener Neustadt, in Austria. L'Austria è da poco
divenuta parte integrante del Reich, e la formazione dei suoi ufficiali può
essere affidata solo ad un uomo la cui fedeltà al regime sia fuori discussione.
Un'altra prova del grande favore di cui Rommel gode presso il Führer si ha
dopo la conferenza di Monaco, che dà via libera alla Germania per l'annessione
del territorio dei Sudeti. Hitler vuole fare un ingresso trionfale tra i nuovi
sudditi del Reich e ordina la costituzione di un battaglione che avrà il compito
specifico di vegliare sulla sua personale sicurezza. Alla testa del
Fuhrerbegleitbataillon viene nominato, direttamente da Hitler, il
colonnello Erwin Rommel.
Infine, e siamo giunti al 23 agosto 1939, Rommel
viene promosso maggior generale (generale di brigata) e destinato al Quartier
Generale del Führer, come comandante della guardia del corpo.
Promosso
capitano dopo l'eccezionale impresa di Caporetto, Rommel era rimasto bloccato in
questo grado per sedici anni. Dopo il suo incontro con Hitler e la nascita di
quello che sembra ormai un idillio, è arrivato in quattro anni al grado di
generale. I due uomini si ammirano a vicenda. Il dittatore ama quel militare
franco, deciso, dinamico, il neo generale vede in Hitler l'uomo che finalmente
ha risollevato la Germania dall'abisso, le ha ridato ordine e potenza; né può
nascondere a sé stesso che la sua fulminea ripresa di carriera è dovuta al
benvolere del Führer.
La politica aggressiva di Hitler trascina l'Europa
verso una nuova guerra, ma la potenza dimostrata dalla Germania, divenuta
padrona con azioni da manuale dell'Austria, della Cecoslovacchia e della
Polonia, lascia pochi dubbi sull'esito del conflitto. Le armi tedesche non
potranno che trionfare, e Rommel ritorna, su sua richiesta, ai ruoli operativi.
Al comando della Settima
Panzerdivision, tra il
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I solenni
funerali di Rommel dopo il suicidio impostogli da Adolf
Hitler |
10 maggio e il 19 giugno del 1940
varca i confini belga e francese, fino a ricevere nelle sue mani il documento di
resa della piazzaforte di Cherbourg.
La Somme, che doveva essere il baluardo
francese invalicabile, era stato passato di slancio, con
stile Rommel:
il comandante in piedi, sulla torretta del primo carro armato tedesco, quasi a
voler catalizzare su di sé la reazione nemica, esaltava i soldati. Si ricreava
l'atmosfera della Grande Guerra, quando il giovane sottotenente trascinava le
truppe, galvanizzate dal suo slancio inarrestabile. Una nuova decorazione, la
croce di
Cavaliere della Croce di Ferro, premia il generale prediletto
di Hitler, che il gennaio dell'anno successivo, 1941, viene promosso tenente
generale (generale di divisione).
Nel frattempo non tutto va così bene per le
forze dell'Asse. Le truppe italiane il 29 gennaio del 1941 abbandonano la
Cirenaica, incalzate dal generale inglese Wavell; tre giorni dopo, perduta
Derna, devono abbandonare anche Bengasi. Il generale Rodolfo Graziani, futuro
ministro della difesa della RSI, chiede di essere esonerato e al suo posto viene
nominato il generale Italo Gariboldi. Hitler è preoccupato per le sorti
dell'Africa settentrionale, perché da lì si gioca una buona parte del dominio
del Mediterraneo, e decide di venire in soccorso alle forze italiane con la
costituzione di una speciale unità,
Afrika Korps. Il 6 febbraio 1941
Rommel è convocato a Berlino presso l'Alto Comando. Il feldmaresciallo Walther
von Brauchitsch, capo di stato maggiore dell'esercito, gli assegna il comando
dell'
Afrika Korps. Inizia la leggenda della
Volpe del
Deserto.
In apertura di questo articolo leggevamo l'ordine del giorno
con cui il maresciallo britannico sir Claude John Auchinleck disponeva
addirittura il divieto di pronunciare il nome di Rommel, considerato ormai dai
soldati inglesi "un mago o uno stregone". Tra la Libia e l'Egitto si scontrarono
non solo due eserciti, ma due mentalità assolutamente diverse. La metodicità
inglese prevedeva che si attaccasse il nemico solo quando si aveva la
ragionevole certezza della propria superiorità. Rommel prevedeva, allora come
nella Grande Guerra, e come in Francia solo un anno prima, che si attaccasse
comunque il più possibile. Nel deserto africano Rommel portava tutta la sua
energia e il suo modo di fare la guerra con la sorpresa, col bluff, con la mossa
imprevedibile che lasciava il nemico smarrito e in preda al panico.
Per
quanto formalmente agli ordini del comando italiano in Africa settentrionale,
Rommel condusse la
sua guerra, sconcertato dalla pochezza dei mezzi a
disposizione dei nostri soldati e dalla prudenza dei generali italiani, e anche
perché non aveva mai mutato il suo giudizio alquanto sprezzante sul soldato
italiano in genere. I contrasti col generale Italo Gariboldi e col suo
successore, Ettore Bastico, furono frequenti e spesso al limite della scortesia.
Ma i fatti, almeno fino a un certo punto, diedero ragione a Rommel.
Il 24
marzo 1941 le truppe dell'
Afrika Korps non hanno ancora completato gli
sbarchi, ma Rommel non attende. Attacca di sorpresa gli inglesi da El Agheila,
nonostante gli ordini superiori che gli imporrebbero di aspettare il completo
sbarco delle forze. L'offensiva tedesca non punta su Bengasi, ma più a Est, su
Derna. Da lì basterà eliminare la piazzaforte di Tobruch, e sarà aperta la
strada per l'Egitto... Il generale Gariboldi pensa che il suo collega tedesco
sia impazzito, che non si renda conto di cosa voglia dire attraversare il
deserto, che non abbia fatto il conto delle forze in campo. E si ha la prima di
molte risposte sprezzanti che Rommel darà alle titubanze italiane: "Se volete,
seguitemi... "
Rommel ha ragione ancora una volta, perché gli inglesi vengono
colti in contropiede proprio dall'apparente assurdità dell'offensiva e
sopravvalutano le forze nemiche. Rommel ha fatto anche
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Il 1° luglio 1942 le
truppe dell'Asse arrivano davanti a El Alamein, in Egitto
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mascherare
da carri armati vecchie automobili
Fiat. L'importante è che sollevino
polverone, che da lontano sembrino carri. Il risultato della scatenata offensiva
è la presa di Derna, il 6 aprile, con la cattura del generale inglese O'Connor,
l'uomo che aveva scacciato gli italiani da Sollum a Tripoli, e del generale
australiano Neame, capo dei più tenaci reparti britannici.
Ma la guerra nel
deserto è come la guerra sui mari. Non si combatte per conquistare chilometri di
sabbia o di acqua, ma per arrivare a un obiettivo, a cui si può arrivare anche
dopo arretramenti. Il 18 novembre parte la controffensiva inglese ("operazione
Crusader") e Rommel, che non era comunque riuscito ad aver ragione della
resistenza di Tobruch, perde tutto il terreno conquistato in primavera. Gli
inglesi cantano vittoria, ma non si rendono conto che Rommel non ha subito una
rotta, ma ha effettuato una ritirata ordinata, perché capiva che, povero
soprattutto di carburanti, non poteva contrastare il nemico, né aveva ragione
per far decimare inutilmente le sue forze. Il 17 gennaio 1942 la riconquista di
El Agheila, da dove Rommel era partito il marzo dell'anno precedente, ha per gli
inglesi un grande valore simbolico: Rommel si può battere! Ma Rommel sta solo
riorganizzandosi, e quattro giorni dopo contrattacca e blocca l'avanzata
inglese. La prudenza britannica gioca ancora una volta a favore dell'Asse, dando
il tempo a Rommel di completare le scorte di benzina e il rinnovo dei carri
armati. Il 26 maggio del 1942 la controffensiva delle truppe tedesche e italiane
si scatena su tutto il fronte; il 20 giugno il generale sudafricano Klopper,
comandante della piazzaforte di Tobruch, chiede la resa, e finalmente Rommel può
impadronirsi del porto più importante dell'Africa settentrionale. Il 1° luglio
le truppe dell'Asse arrivano davanti a El Alamein, in Egitto. Hitler promuove
Rommel al grado di Feldmaresciallo, e Mussolini, non potendo mantenere a un
grado inferiore il generale Ettore Bastico, promuove quest'ultimo Maresciallo
d'Italia.
Ma qualcosa sta cambiando. Gli inglesi hanno un nuovo comandante,
il generale Bernard Law Montgomery; il Mediterraneo si sta facendo ogni giorno
più impercorribile per le flotte che devono portare i rifornimenti alle truppe
dell'Asse in Africa, la Germania ha aperto il nuovo fronte sulla Russia
sovietica, che aspira un'enormità di uomini e mezzi. Il 25 ottobre 1942 Rommel,
che aveva chiesto e ottenuto una licenza per curare disturbi al fegato, fa
precipitoso ritorno in Africa per cercare di arginare la grande controffensiva
scatenata da Montgomery. Ma il 4 novembre gli inglesi vincono la battaglia di El
Alamein ed inizia la ritirata delle truppe dell'Asse. Rommel non seguirà la
sorte dei suoi soldati e di quelli italiani, e proprio a quest'ultimi, tanto
spesso trattati con disprezzo, toccherà il maggior sacrificio di sangue nel
tentativo di arginare l'avanzata inglese. Rommel torna in Germania, questa volta
definitivamente, a fine marzo del 1943, e la sorte del prigioniero toccherà al
comandante italiano, il Maresciallo d'Italia Giovanni Messe, che aveva
sostituito Ettore Bastico, e che firmerà la resa il 13 maggio.
Inizia per
Erwin Rommel l'ultimo atto. Sono finiti i tempi delle vittorie esaltanti, ora le
sorti della guerra stanno decisamente girando a favore degli Alleati e i
successivi incarichi che Rommel ricopre gli danno l'occasione per rafforzare la
convinzione della disfatta. Il voltafaccia italiano dell'8 settembre del 1943 lo
vede al comando del Gruppo Armate "B"; l'Italia settentrionale viene occupata
mettendo fuori combattimento l'esercito italiano nell'arco di ventiquattr'ore.
Due mesi dopo Rommel viene incaricato di ispezionare le difese tedesche
dall'Atlantico ai Pirenei, il cosiddetto
Vallo Atlantico, e ne ricava
una penosa impressione. Le difese insufficienti e le forze dislocate, per ordine
diretto di Hitler, in modo incongruo, lo convincono sempre di più
dell'approssimarsi della rovina.
Un vecchio amico di Rommel, il dottor Karl
Strolin, sindaco di Stoccarda, era stato inizialmente un nazista convinto, ma
poi aveva sempre più preso le distanze dal regime, disgustato dai comportamenti
criminali sempre più evidenti di Hitler e della sua corte di figuri senza
scrupoli. Sarà Strolin il primo a insinuare in Rommel il dubbio: Hitler è in
grado di ragionare, o è un pazzo perso ormai nelle sue fantasie distruttive?
Sarà mai possibile negoziare una pace con gli Alleati, finché Hitler guiderà la
Germania?
Dai ricordi della vedova di Rommel, raccolti da Desmond Young,
sappiamo che la prima reazione di
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Erwin Rommel
nell'intimità familiare: accanto ha la moglie e il
figlio |
Rommel fu di rifiuto violento degli
argomenti di Strolin. Né poteva essere altrimenti: non solo Rommel era un
soldato, formatosi a quella scuola di obbedienza assoluta che era l'esercito del
Kaiser (e quindi per lui era inconcepibile una ribellione all'autorità), ma
abbiamo anche visto come era stato forte il suo legame personale con Hitler. E
infatti Rommel oppose più volte a Strolin la convinzione che il Führer fosse a
sua volta ingannato dagli incompetenti che costituivano il suo
entourage.
Ma due incontri col dittatore, il 17 e il 29 giugno del
1944, tolgono ogni illusione. Gli Alleati sono sbarcati in Normandia da due
settimane e vanno consolidando le loro posizioni. La Germania, dice chiaramente
Rommel, non ha più modo di contrastarli: non resta che prendere atto della
sconfitta e chiedere un armistizio, per evitare altri inutili stragi.
La
risposta di Hitler è rabbiosa: accusa Rommel di vigliaccheria, tiene un
delirante discorso sulla vittoria
immancabile, fantastica di nuove armi
segrete che spingeranno gli Alleati a chiedere pietà ai tedeschi.
Il
feldmaresciallo capisce che ormai l'uomo che lui aveva tanto ammirato è
completamente fuori dalla realtà e vuole trascinare la Germania con sé stesso
nella distruzione. Per scrupolo di coscienza, Rommel ribadisce per lettera
quanto aveva detto al dittatore nei due vani colloqui. Non ottiene alcuna
risposta.
Strolin può aprirsi maggiormente con Rommel, che si rende conto
della vastità della congiura contro Hitler, in cui sono coinvolti uomini
politici (lo stesso Strolin, e Karl Goerdeler, già sindaco di Lipsia), militari
(i generali Beck e Speidel) e perfino uomini del partito, come il barone von
Neurath, già ministro degli esteri e governatore della Cecoslovacchia.
E qui
si entra in alcuni punti oscuri circa la partecipazione di Rommel alla congiura;
punti che avrebbe potuto chiarire solo lui, o pochi degli altri congiurati. Ma i
morti non possono chiarire nulla.
Anzitutto pare che Rommel, ormai convinto
della necessità di eliminare politicamente Hitler, avesse osteggiato fino
all'ultimo l'idea di uccidere il dittatore. Questi, secondo il feldmaresciallo,
doveva essere arrestato e condotto davanti a un tribunale, per rispondere dei
crimini commessi a danno della Germania. Una posizione da idealista, ma molto
poco realistica, ma che potrebbe anche essere verosimile; poteva essere un modo
per risolvere il drammatico conflitto che senza dubbio si era scatenato nel suo
animo, diviso tra la fedeltà assoluta del soldato e la necessità di porre fine,
con ogni mezzo, a una guerra disastrosa.
Inoltre è difficile stabilire se la
partecipazione di Rommel fu solo
morale, o se egli avesse già
predisposto degli ordini precisi per le unità da lui dipendenti.
Di sicuro
si sa che i congiurati, sia politici che militari, vedevano in Rommel l'uomo a
cui affidare la presidenza della Repubblica, una volta tolto di mezzo Hitler,
perché il popolare feldmaresciallo era considerato l'unico uomo in grado di
ricevere l'approvazione del popolo tedesco e di essere accettato come
interlocutore dagli Alleati.
Erwin Rommel continuava comunque la sua attività
di ispettore delle difese del Vallo Atlantico e di comandante del gruppo Armate
costituito dalla 7° e 15° Armata. Il 17 luglio 1944 il feldmaresciallo viaggia
in automobile sulla strada da Livarot a Vimoutiers, quando un caccia inglese
attacca in picchiata il veicolo e lo colpisce in pieno con le mitragliatrici di
bordo. Rommel riporta gravissime ferite alla testa e fino all'8 agosto resterà
ricoverato all'ospedale del professor Esch, a Vesinet, presso Saint-
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Goebbels annuncia: "Dio
ha voluto salvare il Führer, conservandolo alla
Germania"
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Germain.
E' ancora tra la vita e a morte quando, il 20 luglio, i congiurati decidono di
agire. Il colonnello Klaus von Stauffenberg, mutilato di guerra, pluridecorato,
deve quel giorno partecipare, nella sua qualità di aiutante maggiore del
generale Fromm, a una riunione nel quartier generale di Hitler a Rastenburg.
Nella sua borsa von Stauffenberg ha una bomba consegnatagli da un altro
congiurato, il generale Stieff, confezionata con un nuovo esplosivo inglese
procurato dall'ammiraglio Canaris. La borsa viene deposta sotto il tavolo,
vicino a Hitler, e con una semplice pressione del piede viene innescato il
dispositivo chimico che causerà l'esplosione. Von Stauffenberg, con la scusa di
una telefonata, si allontana, e dopo pochi istanti una violentissima esplosione
scuote la baracca in cui si sta tenendo la riunione. Ma Von Stauffenberg è
troppo precipitoso: convinto che il dittatore sia morto si precipita
all'aeroporto, rientra a Berlino e inizia a diramare gli ordini previsti dal
piano della congiura.
Ma Hitler è vivo: incredibilmente, il grosso tavolo di
legno ha deviato la forza dell'esplosivo. Sono morti diciotto dei ventiquattro
presenti alla riunione, mentre il Führer non ha riportato che una leggera ferita
a una mano.
La precipitazione di von Stauffenberg è la rovina per i
congiurati, che si scoprono, diramando ordini alle truppe, assegnando incarichi,
finché nel pomeriggio la voce del dottor Goebbels annuncia alla radio che "Dio
ha voluto salvare il Führer, conservandolo alla Germania". Già nella notte del
20 luglio vengono eseguite le prime fucilazioni, a cui seguirà una repressione
selvaggia tra le file dell'esercito, che si concluderà con oltre tremila
condanne a morte, dopo processi-farsa di pochi minuti.
Rommel viene sapere
dell'attentato e della feroce repressione solo l'8 agosto, quando si trasferisce
nella sua casa di Herrlingen, dove ha deciso di continuare le cure, nonostante
il parere contrario dei medici, che lo vorrebbero ancora ricoverato. Non si fa
illusioni, mentre continuano le notizie di arresti tra gli alti gradi
dell'esercito.
Il 7 ottobre 1944 il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo
dell'Alto Comando, telefona a Rommel per invitarlo a Berlino, ma i medici
vietano ancora un viaggio così impegnativo. Rommel sente che è vicino il
redde rationem, e ne ha conferma quando gli arriva un'altra telefonata,
una settimana dopo. Dato che il signor Feldmaresciallo non è ancora del tutto
ristabilito per affrontare un viaggio fino a Berlino, riceverà l'indomani una
visita di incaricati dell'Alto Comando.
14 ottobre 1944, ore 12. A Herrlingen
arriva una macchina che porta due uomini in divisa da generale. I loro nomi:
Wilhelm Burgdorf, capo dell'ufficio personale dell'esercito, e il suo vice,
Ernst Maisel. Portano entrambi una divisa, ma sono due killer: il loro mandante
si chiama Adolfo Hitler.
In poche parole i due generali spiegano a Rommel lo
scopo della loro
missione: un tribunale del popolo ha già emesso una
sentenza di colpevolezza, la partecipazione del feldmaresciallo alla congiura è
provata da numerose testimonianze. Tuttavia il Führer, che non ha scordato i
grandi servigi che Rommel rese alla Patria, gli vuole dare la possibilità di
morire con onore. I due
killer hanno portato una capsula di cianuro:
morte garantita, indolore e velocissima. Al mondo verrà data la notizia che
l'Eroe dell'Africa è morto per complicazioni intervenute in seguito alle gravi
ferite riportate nel mitragliamento dell'auto. Rommel avrà funerali di Stato,
con tutti gli onori, e la moglie e il figlio saranno trattati con ogni riguardo.
E' chiaro che non è possibile alcun tentativo di fuga: la casa è circondata dai
militi SS. E d'altra parte, se Rommel non accetterà la soluzione che Hitler,
generosamente, ha escogitato, i due generali non possono garantire nulla circa
l'avvenire dei suoi familiari.
E' difficile trovare aggettivi che
qualifichino compiutamente la mostruosità della situazione. La testimonianza
della moglie e del figlio Manfred, informati da Rommel di ciò che stava per
accadere, arricchita di particolari dalla fredda deposizione, a Norimberga, del
generale Keitel (immediatamente informato dai due
killer del compimento
della missione), ci dà un quadro che può solo lasciare smarriti.
Alle ore 13
Rommel sale in macchina con i due generali. Burgdorf gli porge la capsula di
cianuro, e Rommel la schiaccia tra i denti. Meno di mezz'ora dopo arriva a
Herrlingen una telefonata, con cui si comunica che il feldmaresciallo Erwin
Rommel, colto da improvviso collasso cardiocircolatorio, è deceduto nonostante
le cure prestategli immediatamente all'ospedale di Ulm. Il 17 ottobre 1944 la
vedova riceve il telegramma di condoglianze di Hitler, al quale seguiranno
quelli dei vari gerarchi del partito. Il 18 ottobre, a Ulm, si celebrano i
solenni funerali di Stato; il giorno successivo il corpo di Rommel viene cremato
e le ceneri sepolte nel piccolo cimitero di Herrlingen.
La diabolica crudeltà
con cui Hitler si volle vendicare del tradimento del suo generale prediletto ha
fatto sì che la figura di Rommel sia stata idealizzata, fin quasi a farne un
oppositore del regime, morto per le sue idee di libertà. Ci chiedevamo
all'inizio del nostro lavoro: fu vera gloria? Difficile rispondere, e forse
anche inutile. Di certo Rommel fu un grande soldato, ma altrettanto di certo fu
solo un soldato. La sua grandezza fu anche il suo limite, perché un
fenomeno come il nazismo poté nascere e svilupparsi anche per l'appoggio di una
casta militare che era comunque, nella sua gran parte, incapace di vedere
cosa realmente fosse il nazismo stesso. Hitler non avrebbe mai potuto
scatenare la tempesta sull'Europa senza l'appoggio delle Forze Armate. E le
radici vanno ricercate, a nostro avviso, ancora più indietro, in quel
militarismo prussiano che predicava l'obbedienza assoluta, che idealizzava come
virtù la rinuncia alla capacità di giudizio.
Il soldato che ha una sola
missione,
obbedire, è potenzialmente il mostro che può commettere
qualsiasi cosa. Dipende da chi dà gli ordini. In Germania gli ordini li dava
Adolfo Hitler. E Rommel fu presente, e attivo, nel massacro della libertà
cecoslovacca e polacca, nella violazione della neutralità del Belgio e dei Paesi
Bassi e nei tanti episodi che punteggiarono la marcia nazista. Nessuno di essi
turbò la sua coscienza, e l'opposizione al Führer nacque solo perché questi
ormai non era più in grado di condurre la guerra.
Fu vera gloria? Non ci
interessa stabilirlo. Ci interessa fare il possibile perché il mondo non conosca
più l'orrore che è sempre in agguato quando gli uomini rinunciano alle capacità
critiche e rimangono vittime di una visione distorta dell'onore e del
dovere.