Lotta per l'evangelizzazione del Giappone (XVI secolo):
un intreccio di interessi terreni, lotte crudeli e nobili episodi


LA STORIA
DEI SAMURAI
CRISTIANI



Nagasaki 1597: le autorità condannano alla
crocefissione ventisei sacerdoti cristiani

di MATTEO SOMMARUGA
Quando intorno alla metà del Cinquecento i primi mercanti occidentali, accompagnati dal vessillo della corona portoghese, raggiunsero le coste giapponesi, furono ben presto seguiti da alcuni audaci missionari. In una nazione pur dilaniata da decenni di conflitti intestini, essi trovarono un ambiente culturale che nel corso dei secoli aveva reso propria consuetudine l'assimilazione degli influssi culturali provenienti dall'esterno. In pochi anni le comunità cristiane superarono un numero di centomila aderenti, su una popolazione di circa dodici milioni di persone, una cifra destinata a triplicare nel momento della loro massima espansione. La minaccia della colonizzazione dell'aggressivo regno iberico e il timore della nascita di nuovi conflitti religiosi, cui le isole giapponesi non erano estranee, posero però le basi per una crescente diffidenza, nei confronti della nuova religione, da parte del ricostituito potere centrale, che nel primo quarto del XVII secolo sarebbe culminata in una delle più grandi tragedie della cristianità. I primi religiosi occidentali a raggiungere le coste giapponesi erano stati, quasi un secolo prima, il 15 agosto del 1549, tre frati gesuiti, tra i quali anche Francesco Saverio, a bordo di un vascello wako. Gli wako erano gruppi di corsari che, a partire dalla metà del XIII secolo, con l'indebolirsi dell'autorità centrale, salpando principalmente dall'isola di Tsushima, a metà strada fra Kyushu, la più meridionale fra le grandi isole dell'arcipelago giapponese, e la Corea, martoriavano le coste continentali, spingendosi fino alla Cina.
Quando la neocostituita dinastia Ming cercò di ostacolare il commercio con le isole nipponiche, furono proprio costoro che, spesso con il favore delle popolazioni locali, mantennero vivi gli scambi lungo lo stretto di Corea. I loro vascelli, organizzati in flottiglie che potevano raccogliere anche migliaia di uomini armati, furono i primi a entrare in contatto con gli esploratori e i mercanti europei. E paradossalmente uno dei più arditi capitani di queste formazioni, chiamato Anjiro e noto per la sua intraprendenza, si fece carico del viaggio che avrebbe condotto Francesco Saverio, dalla Malacca, in Giappone. Francesco Saverio era nato a Xavier, da cui il suo nome, latinizzato, nei paesi baschi, nel 1506, ma si trasferì, ancora giovane, a Parigi, dove frequentò l'università della Sorbona. Nella capitale francese entrò in contatto con Ignazio di Loiola, dalle cui idee, di forte ispirazione apostolica, venne affascinato. Nel 1540 fu tra i fondatori della Compagnia di Gesù, ma dopo pochi anni si trasferì nella colonia portoghese di Goa, per dare inizio ad un'intensa opera di evangelizzazione degli abitanti di Malacca e delle Molucche, tale da valergli il titolo di Apostolo delle Indie. Il viaggio nelle isole giapponesi non avrebbe che rappresentato una tappa del suo percorso, rimanendovi per oltre due anni.
All'epoca di Saverio
le strade di Kyoto
ricordavano
a stento la gloria
degli anni passati
Sbarcato a Kagoshima, nell'estremità meridionale di Kyushu, diede inizio all'opera di evangelizzazione compilando, in lingua giapponese, con l'aiuto, non sempre adeguato di Anjiro, un semplice catechismo. I suoi sforzi non si dimostrarono vani e circa cento persone accettarono il battesimo. Un anno dopo il proprio arrivo visitò Hirado e Yamaguchi, sull'isola di Honshu, la più centrale e più estesa di quelle che costituiscono l'arcipelago giapponese, ma il suo vero obiettivo era Kyoto.
Kyoto, l'antica Heian, situata nella regione più centrale di Honshu, nel 794 d.C. era stata eletta a capitale del primo nucleo di quello che sarebbe diventato l'Impero del Sol Levante, per scelta del tenno Kenmu, i cui discendenti regnano tuttora sul trono nipponico. Da quella data, la presenza di una corte fissa fece sì che la città diventasse non solo il centro economico e politico, ma anche culturale dell'arcipelago. All'epoca di Francesco Saverio le strade di Kyoto ricordavano però a stento la gloria degli anni passati, le guerre civili avevano trasformato la regione con una miriade di fortificazioni, perlopiù di grosse dimensioni, e la stessa capitale era spesso teatro di sanguinosi combattimenti. L'intento del missionario gesuita era l'incontro con l'imperatore Gonara, la cui funzione ricopriva un ruolo ormai puramente simbolico. Al punto che si erano dovuti aspettare oltre vent'anni, dall'ascesa al trono, perchè si potessero reperire i fondi necessari per la cerimonia d'incoronazione. Il religioso basco avrebbe voluto ottenere il permesso di predicare attraverso l'intera nazione, ma, posto che tale desiderio fosse stato concesso, quasi sicuramente il benestare del sovrano sarebbe stato privo di qualsiasi autorevolezza. A ogni modo, il celebre gesuita non venne ammesso al cospetto del figlio del Sole e, deluso, lasciò il Giappone per l'India verso la fine del 1551. Di lì a poco, in rotta verso la Cina, avrebbe trovato la morte, il 3 dicembre 1552, sull'inospitale isola di Sanciano. Posto ad esempio per il vigore e la convinzione con cui condusse la propria opera missionaria, Francesco Saverio venne canonizzato nel 1622. Negli anni successivi alla partenza del frate gesuita, l'opera di evangelizzazione del Giappone non subì però un arresto e le comunità cristiane, pur concentrate a Kyushu, soprattutto nella fortezza di Nagasaki, erano diffuse anche lungo l'isola di Honshu.
La nuova religione venne infatti accolta con favore anche dall'establishment politico, soprattutto perchè associata agli scambi economici con il Portogallo, che introdussero i primi modelli di archibugio, sia perchè costituiva un'alternativa al crescente potere dei templi shintoisti e buddhisti, spesso all'origine di conflitti religiosi, di natura settaria, che arrecavano un notevole danno alla già precaria stabilità interna. Nel 1563 Omura Sumitada, un daimyo di Kyushu, uno dei potenti signori della guerra che all'epoca controllavano l'arcipelago giapponese, temendo la minaccia degli avversari, sempre più prossimi ai propri territori, adottò la religione cristiana e offrì agli occidentali il porto di Nagasaki come base per il loro commercio. La fortezza, affacciata sull'omonima baia, lungo l'estremità nordoccidentale di Kyushu, divenne ben presto il quartier generale della Compagnia di Gesù, sede di un seminario per la formazione dei preti locali e di una stamperia, allestita per la diffusione delle prime traduzioni di una serie di testi occidentali, non necessariamente di carattere religioso, fra cui un'edizione delle Favole di Esopo e l'Imitazione di Cristo di Thomas à Kempis. Il successo dei missionari fu indubbiamente merito del tatto con cui condussero la propria azione, cercando di lavorare fra i feudatari e la nobiltà giapponese, evitando in questo modo di essere sottoposti al sospetto di introdurre idee sediziose. Le fasce più umili e più povere della popolazione vennero coinvolte nel progetto di evangelizzazione solo in un periodo successivo, con l'arrivo di religiosi di altri ordini, soprattutto Domenicani e Francescani. Grazie ai loro sforzi le comunità divennero sempre più popolose fino a raggiungere quasi il 2 percento della popolazione, una quota sensibilmente superiore perfino ai valori attuali. Oltretutto il cristianesimo godeva di una larga popolarità presso le classi superiori anche grazie all'interesse verso la cultura e le tradizioni occidentali.
Takugawa Ieyasu, i cui discendenti
avrebbero governato il Giappone fino al 1867
Se molte conversioni erano giustificate con motivazioni effettivamente di carattere spirituale, altre erano invece la diretta conseguenza di una sorta di infatuazione per i costumi dei nuovi visitatori. Con tale spirito, oltre a interessi puramente commerciali, Oda, passato alla storia per aver restaurato un potere centrale sull'intero arcipelago, o almeno su buona parte, favorì l'attività dei religiosi occidentali, principalmente spagnoli, italiani e portoghesi, garantendo loro privilegi e concessioni. Il celebre condottiero iniziò perfino a dimostrane una certa preferenza per la compagnia di questi uomini, dalle maniere eleganti e istruiti, ma soprattutto estranei agli intrighi di palazzo. Il 9 giugno del 1580 Sumitada cedette perpetuamente Nagasaki all'ordine gesuita, ma uno degli episodi più originali della storia del primo cristianesimo giapponese fu indubbiamente la missione in Europa del 1582, guidata da Alessandro Valignano. Valignano era nato a Chieti nel 1539 e, dopo gli studi in giurisprudenza all'Università di Padova, entrò nella Compagnia di Gesù all'età di 27 anni. Incaricato di visitare le missioni in Asia, con l'eccezione delle Filippine, nel 1573, il religioso italiano giunse in Giappone per la prima volta nel 1579. Durante il proprio soggiorno dimostrò singolari doti organizzative, ristrutturando le missioni già presenti e fondando un seminario a Usuki e due scuole per ragazzi a Funai e Azuchi. Fra i propri correligionari promosse lo studio della lingua giapponese e l'adozione dei costumi locali. Quando nel 1582 si accinse a tornare in Europa lo accompagnavano quattro ragazzi, fra i 12 e i 13 anni, studenti del seminario di Arima, e un seguito di altre sedici persone. Costoro erano incaricati di visitare le corti di Filippo II di Spagna, che in quel tempo era anche Re del Portogallo, e Papa Gregorio XIII, in ambasciata in nome del Daimyo Cristiano di Kyushu, Omura Sumitada.
Costui aveva nel frattempo adottato il nome cattolico di Bartolomeu. La spedizione ottenne anche l'appoggio di Otomo Sorin, battezzato come Francisco, e Arima Harunobu, Protasio, anch'essi potenti signori feudali dell'isola giapponese. Il gruppo lasciò Nagasaki il 20 febbraio del 1582 per raggiungere le coste portoghesi solo nell'agosto del 1584. In novembre furono accolti da Filippo II per proseguire alla volta di Roma. Gregorio XIII si dimostrò magnanimo, elargendo doni e emettendo una bolla in base alla quale l'attività religiosa in Giappone rimaneva prerogativa della Compagnia di Gesù. Pochi mesi dopo la partenza dall'oriente della celebre missione, Oda Nobunaga, il primo Reggente e riunificatore del Giappone, era però caduto vittima del tradimento di uno dei propri generali, Akechi Mitsuhide, il quale, anzichè rispettare gli ordini convenuti aveva marciato su Kyoto e aveva sopraffatto il celebre condottiero, uccidendolo brutalmente. Mitsuhide non fu però in grado di mantenere il potere e a Nobunaga successe Toyotomi Hideyoshi. Costui, di umili e oscure origini, aveva raggiunto la massima carica della nazione attraverso la carriera militare e in un primo momento mantenne l'atteggiamento seguito dal predecessore nei confronti delle comunità cristiane. Le quali avevano però subito un duro colpo quando, nel 1584, il clan degli Shimazu aveva occupato Nagasaki. Nel 1587 la morte colse Sumitada e Hideyoshi, che nel frattempo aveva sconfitto gli Shimazu, si impossessò del porto fino a poco prima controllato dai gesuiti. Hideyoshi doveva però affrontare la difficile eredità di Nobunaga, ma per governare un paese lacerato dalle guerre intestine e non ancora rappacificato erano necessarie non soltanto le indubbie capacità di cui godeva, ma anche il rispetto dei propri vassalli.
I Francescani erano
giunti a Kyushu nel
1592 incuranti
del divieto di
evangelizzazione
Molti dei quali non accettavano ben volentieri un padrone di umile estrazione, una situazione effettivamente eccezionale all'interno di una società rigidamente stratificata come quella giapponese. Hideyoshi cercò di creare un passato per la propria famiglia, ma soprattutto volle recuperare l'immagine dell'antica diarchia, ottenendo il prestigio che gli mancava da una pur formale reggenza in nome dell'imperatore. Il quale, secondo la tradizione, discendeva da Amaterasu Omikami, la dea del sole progenitrice di Jenmu, il leggendario primo imperatore. Hideyoshi trovò quindi un ostacolo nella dottrina cristiana e nel 1587 emise una serie di editti che ponevano, in maniera del tutto repentina, un arresto all'attività missionaria dei Gesuiti. Si lasciava però assoluta libertà di spostamento ai cristiani che giungevano in Giappone per commerciare, purché non creassero elementi di disturbo nei confronti delle pratiche religiose tradizionali. Ma tali disposizioni furono perlopiù disattese, soprattutto per via dell'influenza dei daimyo cristiani, fra i quali vi erano alcuni dei più validi generali dello stesso Hideyoshi. In quello stesso anno Hosokawa Tama, la terzogenita di quell'Akechi Mitsuhide che cinque anni prima aveva posto fine alla vita di Nobunaga, ricevette il battesimo. La crescente influenza dei Gesuiti, soprattutto sull'isola di Kyushu, non contribuì però a placare il risentimento di Hideyoshi, cui si aggiunsero i contrasti fra i missionari della Compagnia di Gesù e i Francescani. Questi ultimi erano giunti a Kyushu nel 1592, incuranti degli editti che proibivano qualsiasi forma di evangelizzazione, e avevano dimostrato di ottenere un largo credito fra gli strati più bassi della popolazione. Incurante dei consigli di alcuni daimyo, Hideyoshi diede nuovo impulso alla lotta contro il cristianesimo nel 1597. Il 5 febbraio di quello stesso anno, a Nagasaki, ventisei sacerdoti, sia stranieri che giapponesi, vennero crocefissi. L'esecuzione ebbe luogo alle 10 del mattino, sulla collina di Nishizaka, alle porte della città. Terazawa Hazaburo, fratello di Ierazawa Hazaburo, il governatore, impartì gli ordini per la crudele cerimonia.
Le vittime, cui era stato amputato l'orecchio sinistro, erano già stremate da oltre trenta giorni del percorso, effettuato quasi interamente a piedi, che li divideva dal luogo della cattura al luogo prescelto per il martirio. Fra il pubblico del macabro spettacolo si trovavano alcuni padri gesuiti, commercianti spagnoli e portoghesi. L'episodio, del tutto simile ai molti che hanno accompagnato la cristianità nei primi secoli della propria storia, traeva giustificazione da un diverbio avvenuto alcuni mesi prima, il 26 agosto del 1596 a bordo della San Felipe, un galeone battente bandiera spagnola. I dettagli non sono chiari, ma sembra che quando la nave fece scalo nella baia di Urado, nella prefettura di Tosa, sull'isola di Shikoku, il carico trasportato fosse stato confiscato in nome del Reggente Hideyoshi. Il capitano avrebbe poi minacciato l'invasione del Giappone da parte di un'armata spagnola, e che tale invasione sarebbe stata favorita dall'attività di spionaggio dei frati francescani. I francescani, del tutto estranei a un complotto di tal genere, ritorsero le accuse ai gesuiti, con i quali avevano più di un motivo di contrasto. Hideyoshi, forse istigato dagli stessi gesuiti che in tal modo pensavano di allontanare per sempre i propri rivali, diede l'ordine di arrestare sette frati francescani e venti conversi, successivamente deportati e condannati al patibolo. Il Reggente sarebbe però deceduto l'anno seguente e l'attività dei missionari fu in grado di proseguire indisturbata. A Hideyoshi successe il figlio Hideyori, ma, essendo ancora giovane, il paese veniva di fatto retto dai luogotenenti del padre, che avevano prestato giuramento al clan Toyotomi. Le rivalità interne sfociarono ben presto nello scontro armato e, nella battaglia di Sekigahara, emerse la figura vittoriosa di Tokugawa Ieyasu, i cui discendenti avrebbero governato il Giappone fino al 1867. Ieyasu in un primo tempo ristabilì una politica tollerante nei confronti della minoranza cristiana, attratto dalle possibilità del commercio con il Portogallo e minacciato da ben più seri problemi, fra cui quella posta da Hideyori, pur sempre l'erede di Hideyoshi. L'ingresso dei vascelli inglesi, cui, a partire dal 1613 fu concessa la possibilità di approdare in qualsiasi porto dell'arcipelago, e dei mercanti olandesi, consentì a Ieyasu di affrontare la presenza dei missionari cattolici con maggiore libertà.
Il porto di Nagasaki: nel 1584 venne
occupato dal clan degli Shimazu
Una lettera di Maurizio di Nassau aveva inoltre avvertito il Reggente che la Compagnia di Gesù, sotto la copertura della santità della religione, intende convertire i Giapponesi alla propria religione, dividere l'eccellente regno del Giappone e condurre la nazione alla guerra civile". Nel 1614 il Reggente Tokugawa ordinò a tutti i missionari di lasciare il paese, la maggior parte dei quali acconsentì, ma circa quaranta, fra cui alcuni preti giapponesi, rimasero per continuare il proprio lavoro in clandestinità. L'anno prima, Date Masamune, che a Sekigahara aveva combattuto a fianco delle insegne dei Tokugawa ed era stato ricompensato con i vasti domini della provincia di Sendai, aveva inviato Hasekura Tsunenaga, un suo vassallo, a Roma, attraverso il Messico e la Spagna, per venire ricevuto da papa Paolo V. Anche questa volta, come nel 1582, la missione si rivelò infruttuosa perchè quando don Philip Francisco, il nome adottato da Tsunenaga dopo che a Madrid aveva ricevuto il battesimo, tornò in Giappone, era il 1620, le persecuzioni contro i kirishitan, i cristiani, avevano ripreso vigore. I maggiori provvedimenti erano stati presi fra il 1614 e il 1615, ma gli avvenimenti più sanguinosi dovevano ancora avere luogo. Nel 1622, la popolazione di Nagasaki assistette nuovamente al martirio di 51 cristiani, due anni dopo altri cinquanta vennero arsi vivi a Edo, l'attuale Tokyo. Le stime parlano di circa tremila fedeli giustiziati per non aver abiurato il proprio credo, cifra cui si devono escludere i morti per le sofferenze patite in carcere o in esilio. Le torture cui vennero sottoposti i cattolici raggiunsero a un tale livello di crudeltà che perfino alcuni religiosi rinnegarono le proprie convinzioni. Per individuare la presenza di comunità cristiane nei villaggi fu istituito lo shumon aratamecho, una struttura di stampo poliziesco che si rivelò molto efficiente per il controllo della vita privata dei sudditi dell'intera nazione. Nel 1633, trenta missionari salirono sul patibolo e nel 1637 solo cinque godevano ancora della libertà. In quello stesso anno si consumò l'ultimo, tragico episodio dell'avventura cristiana in Giappone.
Le persecuzioni, ma anche le pesanti tassazioni cui vennero sottoposti gli abitanti della prefettura di Nagasaki, la sede storica dell'attività missionaria, fu tale da spingere i contadini della penisola di Shimabara alla rivolta. A essi si unirono samurai e dignitari privati del proprio rango, come pure gli abitanti dell'isola di Amakusa, in un ultimo disperato tentativo in difesa della propria fede. L'insurrezione fu una dura prova per Tokugawa Iemitsu, il successore di Ieyasu. L'esercito cristiano si battè con valore, ma la sproporzione delle forze in gioco costrinse i rivoltosi a rifugiarsi nel castello di Hara. Stremati dalla fame, il 28 febbraio del 1638, la roccaforte si arrese dopo tre mesi di assedio. Secondo le stime negli ultimi due giorni della battaglia 10.800 fra gli insorti morirono decapitati, altri, fra i 5.000 e i 6.000, preferirono morire piuttosto che arrendersi. Alcuni trascinarono con sè, nelle fiamme, i propri figli, per risparmiarli dalla furia dei vincitori. I quali non dimostrarono alcun atto di clemenza e misero a morte i sopravvissuti. I fatti di Shimabara spinsero la Reggenza a irrigidire ulteriormente i rapporti con l'esterno. Gli ultimi portoghesi presenti sull'arcipelago vennero confinati sull'isola artificiale di Dejima, costruita nella baia di Nagasaki fra il 1634 e il 1636. Nel 1639 vennero definitivamente allontanati, e i soli a poter sviluppare accordi commerciali con il Giappone rimasero gli Olandesi, ai quali, a partire dal 1641, non fu concesso che l'approdo di Dejima. Dopo la caduta del castello di Hara la presenza cristiana in Giappone sembrò essere stata debellata, ma proseguì clandestinamente fino a quando, nella seconda metà del XIX secolo, la nazione non riprese i contatti con l'esterno. Nel 1865, dopo che un gruppo di cittadini di Nagasaki si identificò pubblicamente come cristiani, nei luoghi più remoti della nazione, dove il potere centrale era meno efficiente, oltre 60,000 giapponesi rivelarono di non aver mai abbandonato la religione introdotta da Francesco Saverio. Solo nel 1873 le sanzioni emanate oltre due secoli prima vennero definitivamente abrogate.



Bibliografia

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