STORIA OGGI

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OSAMA BIN LADEN:
CAUSA O EFFETTO?


di Paolo Deotto


Scriviamo queste note, che andranno in rete il primo novembre, a circa due mesi dall'attentato di New York. Dall'undici settembre quotidiani e periodici ci hanno subissato, le immagini della tragedia ci sono state riproposte in mille modi, si è parlato e straparlato di terrorismo, Islam, guerra, guerra santa, guerra inevitabile, armi batteriologiche, chimiche, di mondo che è cambiato (come, poi?) eccetera. In ogni caso, le vendite di carta stampata e gli ascolti televisivi hanno avuto un'impennata eccezionale. Ora che il business è ben avviato, possiamo fermarci un attimo a riflettere? Possiamo avere il coraggio e l'onestà di guardare realisticamente dentro i fatti?
Vorremmo parlare di qualcosa di diverso dal terrorismo perché non è questo il vero problema della nostra avanzatissima civiltà. Soprattutto perché il terrorismo va considerato l'effetto e non la causa di una determinata situazione politico-economica. La reazione emotiva, per altro giustificata, conseguente a quanto è accaduto e sta accadendo, impedisce a moltissimi cittadini del mondo di chiedersi perché siano avvenuti quegli attentati che tanto hanno sconvolto e stanno sconvolgendo l'intero pianeta. Partendo da questo stato d'animo si tende semplicisticamente a stabilire la solita e rassicurante divisione fra buoni e cattivi, come in un bel western del tempo che fu. Per lo storico una chiave interpretativa del genere, purtroppo usata anche da certi commentatori politici, è da considerare assolutamente fuori dalla logica e, se chi la usa è dotato di strumenti interpretativi, in malafede.
Anzitutto, cosa è accaduto l'11 settembre? Un paranoico, con spiccato senso organizzativo e grosse disponibilità finanziarie, ha commesso un crimine orrendo. Nihil sub sole novum recitava il vecchio detto latino, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Le nazioni civili hanno combattuto nell'arco dei primi quarantacinque anni del XX secolo due guerre mondiali che hanno provocato oltre settanta milioni di morti. L'uso della bassa macelleria come metodo di dialettica politica e di risoluzione delle controversie non è certo un'invenzione del barbuto sceicco miliardario. E potremmo fare un infinito elenco di massacri, di cui la storia umana è costellata, anche limitandoci agli ultimi due secoli. Ma non è neanche questo il punto, anche se è importante ricordarlo, perché ci sembra alquanto stonato che oggi il mondo occidentale si presenti come la vergine offesa nella sua purezza. Qui di vergine non c'è nessuno, e non solo per la tranquilla abitudine a uccidere, ma anche perché, ci piaccia o meno, se un fenomeno come il terrorismo ha raggiunto certe vette di spettacolarità, il mondo occidentale, civile e progredito, deve farsi un bell'esame di coscienza. Come possono nascere i Bin Laden? Chi è il dottor Frankenstein che li crea? Perché trovano, seppur pochi, dei seguaci?
Il colonialismo è cessato come fenomeno formale, ma è tutt'altro che morto nella sua sostanza. Ora non si colonizza più muovendo gli eserciti ma usando le grandi multinazionali che penetrano finanziariamente nei territori deboli e li trasformano in dipendenze economiche e militari. Viviamo su un pianeta dove due terzi di abitanti sono in povertà più o meno estrema; si parla, a ragione, del Medio Oriente, teatro di una guerra infinita, ma poco si parla (per ora) dell'Africa, continente abbondantemente sfruttato in primis dagli europei, salvo seccarci per un flusso continuo di emigranti, provenienti da quella zona del pianeta, spinti dal più antico ed elementare dei bisogni, la fame. Caduto l'impero sovietico, gli Stati Uniti si sono eletti arbitri del mondo e basterebbe una guerra ambigua come quella scatenata a suo tempo contro l'Iraq (che aveva messo a rischio gli interessi petroliferi degli Usa nel Kuwait) per dimostrare quanto l'arbitro sia poco imparziale.
Insomma, avendo alle spalle decenni di politica internazionale basata solo sull'affermazione della supremazia, sulla difesa di una società sempre più ricca, tecnologica, consumistica, industriale eccetera, avendo creato e mantenuto enormi sacche di povertà e sperequazione, c'è poco da meravigliarsi se poi è accaduto quel che è accaduto. Bin Laden è un delinquente e siamo convinti (lo scrivevamo già il mese scorso) che persegua i suoi personali progetti di potere. Ma un Bin Laden, o i vari movimenti terroristici come Hamas, Jihad islamica, Abu Nidal (per non citarne che alcuni) possono trovare dei seguaci perché i disperati, gli sfruttati, i diseredati, sono da sempre una massa esplosiva, disposta a tutto pur di mutare la propria drammatica condizione. Detto questo non si può non ricordare che la politica degli Stati Uniti ha avuto buon gioco grazie alla fragilità dell'Europa, culla della civiltà occidentale, che finora, pur dotata di grandi potenzialità, è stata incapace di sviluppare una capacità contrattuale politica, economica e militare attraverso la quale condizionare in chiave etica la globalizzazione dell'economia.
Ora è inutile piangere le lacrime del coccodrillo. La guerra attuale contro l'Afganistan ha una giustificazione perchè non v'è dubbio che le formazione terroristiche vadano eliminate con qualsiasi mezzo. Ha molte meno giustificazioni, se il motivo di fondo è la difesa di un modello di civiltà che ha molto poco di modello e di civile privo com'è di eticità.
Si è detto che dopo l'11 settembre "nulla sarà più come prima". La frase è suggestiva, ma va puntualizzata. Se gli Stati Uniti che, piaccia o meno ai flautisti europei, sono gli attuali padroni del mondo, sapranno (dopo l'eliminazione delle formazioni terroristiche) farsi promotori di una politica di vera solidarietà internazionale e di vera promozione umana, allora il fenomeno del terrorismo si spegnerà. Viceversa sarà la lotta di Ercole contro l'Idra, e le teste del mostro continueranno a ricrescere. Di certo, la partenza non è stata brillante: pochi giorni dopo gli attentati, la Borsa di New York riapriva, con gli operatori che osservavano un minuto di silenzio, cantavano un inno e poi iniziavano le contrattazioni. Era il segno che "l'America non si piegava alla paura". Che il primo inno alla speranza e alla volontà di ripresa sia partito dal Tempio della Finanza, ci lascia quantomeno perplessi. Ma quei giorni erano ancora dominati dalla totale emotività e quindi poteva accadere di tutto. Cosa accadrà nei prossimi giorni e nei prossimi mesi? Quanto onesta, umanitaria, attenta ai bisogni dei Paesi poveri divorati dalla fame e dalle malattie, sarà la riflessione politica imposta dallo shock dell'undici settembre 2001?
I fatti, unica cosa che valga nella storia, ce lo diranno.